top of page
Francesco Balistreri 

Sul Cacciatorpediniere "Scirocco"

Imbarcato da sottofficiale sulla cacciatorpedoniere 'Scirocco' morí durante la ritirata della nave dalla seconda battaglia della Sirte il 23 marzo 1942 a causa di continui guasti delle macchine in un maltempo regnante. Affondó a 150 miglia all'est di Malta. Di duecento uomini si salvaroro solo due trovati su un canotto alla deriva a 80 miglia dal punto del disastro. Lo stesso destino con condizioni simili toccó al CT Lanciere.

Scirocco Francesco Balistreri ritratto A

Tempesta di Scirocco…

Alle 2.50 del 22 marzo 1942 lo 'Scirocco', al comando del capitano di fregata Francesco Dell’Anno, lasciò Taranto insieme al cacciatorpediniere 'Geniere' per unirsi alla squadra italiana (corazzata Littorio, incrociatori pesanti Trento e Gorizia, incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere e cacciatorpediniere Aviere, Alpino, Ascari, Bersagliere, Fuciliere, Grecale, Lanciere ed Oriani) uscita in mare da Taranto e Messina nelle ore precedenti per intercettare un convoglio britannico diretto a Malta, l’«MW. 10», con la cisterna militare Breconshire ed i piroscafi Clan Campbell, Pampas e Talbot scortati dagli incrociatori leggeri Dido, Euryalus, Cleopatra e Carlisle e dai cacciatorpediniere Hasty, Havock, Hero, Sikh, Zulu, Lively, Jervis, Kelvin, Kingston, Kipling, Avon Vale, Dulverton, Beaufort, Eridge, Southwold e Hurworth, operazione sfociata nell’inconclusiva seconda battaglia della Sirte.

Lo 'Scirocco', al pari del 'Geniere', sarebbe dovuto partire alle 00.30 insieme ad altri quattro cacciatorpediniere – Aviere, Ascari, Oriani e Grecale, della XI Squadriglia – per scortare la Littorio (gruppo «Littorio», mentre le altre navi formavano il gruppo «Gorizia», partito da Messina), ma non era potuto salpare insieme al resto della squadra perché in ritardo sull’approntamento, per via di lavori di riparazione in corso nell’apparato motore, a seguito di avarie verificatesi durante l’accensione delle caldaie.

Risultando però pronto a muovere in 24 ore, gli era stato ordinato di partire appena possibile per unirsi alle navi già in mare; gli ordini erano di navigare insieme al Geniere e seguire le rotte della Littorio a 28 nodi di velocità.

Questo suo ritardo di circa tre ore, insieme alla velocità moderata mantenuta per tutta la navigazione, impedì allo 'Scirocco' di raggiungere la formazione italiana prima che il combattimento fosse terminato; per questo, alle 18.40 del 22 – quando la flotta italiana si avviò sulla rotta del rientro verso le basi –, anche lo 'Scirocco', senza neppure essersi ricongiunto con il grosso delle forze italiane, ricevette ordine dall’ammiraglio Iachino (comandante superiore in mare) di invertire la rotta (dirigendo quindi verso nord) e tornare a Taranto, insieme al Geniere, che era il capo sezione: era infatti ormai evidente che le due unità non avrebbero fatto in tempo a partecipare allo scontro.

Francesco-bio-Mw.jpg

Relato del papá di Francesco al nipote Gaetano nel 1962. Tuttavia non c'era Internet e questo era quello che si sapeva o deduceva dalle sporadiche notizie.

Quando le navi avevano lasciato le basi c’era solo un vento debole da sudest e mare leggermente mosso, ma il rientro avvenne in condizioni estremamente avverse, con forte vento da scirocco ed un mare molto mosso, che divenne infine una vera e propria tempesta da sudest, con mare forza 8, di intensità continuamente crescente. L’usura dell’apparato motore, la leggerezza della costruzione dei cacciatorpediniere italiani e la tenuta non ottimale della portelleria di coperta fecero il resto.

Alle 20.45 la motrice di sinistra dello Scirocco andò in avaria, costringendo l’unità ad abbassare la velocità a 14 nodi e procedere con la sola motrice di dritta (alle 20.54 anche il Geniere dovette regolarsi su tale velocità per tenere il passo con il sezionario); dopo una decina di minuti i due cacciatorpediniere, per cercare di ridurre il forte rollio, assunsero rotta verso nord (secondo il rapporto dell’ammiraglio Iachino, comandante superiore in mare, Scirocco e Geniere assunsero alle 21.30 rotta 0° e velocità 14 nodi, di propria iniziativa).

Alle 23 fu possibile riportare la velocità a 20 nodi, ma alle 00.07 del 23 marzo, mentre la tempesta andava incessantemente peggiorando, lo Scirocco, in seguito ad ulteriori avarie, dovette ridurre la velocità ad appena 6-7 nodi; lo stesso fece il Geniere, per non lasciarlo indietro.

Scirocco e Geniere erano soli nel mare in tempesta, ancora lontani dal resto della squadra italiana, che a sua volta stava passando momenti drammatici (un cacciatorpediniere, il Lanciere, sarebbe affondato la mattina seguente, e diversi altri avrebbero evitato la stessa fine di stretta misura).

Alle 4.06 (o 4.12) il Geniere domandò se potesse accompagnare lo Scirocco ad Augusta o Siracusa invece che verso la più lontana Taranto, stante la gravità della situazione; la diversione venne subito autorizzata, ma era già troppo tardi.

Alle 5.39 del 23 marzo, tutte le caldaie dello Scirocco cessarono definitivamente di funzionare: il cacciatorpediniere era ora alla deriva, impossibilitato a muovere, alla mercé del mare spietato. La nave si traversò alle onde, dando inizio all’ultimo, breve atto della tragedia.

Allo Scirocco sarebbe toccata l’amara sorte di dover soccombere ad una tempesta scatenata dal vento del quale portava il nome.

Poco si sa su cosa accadde sulla nave in quegli ultimi momenti. Un’enorme onda ferì gravemente il medico di bordo; il sergente nocchiere Michele Perugini accorse in suo aiuto e lo trascinò sanguinante nel quadrato ufficiali, ma il medico, capendo che non ce l’avrebbe fatta, si sfilò dal dito l’anello di fidanzamento e lo consegnò a Perugini, raccomandandogli di consegnarlo alla sua fidanzata, perché lui si sarebbe salvato.

L’equipaggio tentò tutto il possibile per salvare la nave, ma né gli sforzi dei suoi uomini, né il tentativo di soccorso da parte del Geniere poterono salvare lo Scirocco: intorno alle 5.45 il cacciatorpediniere, dopo essersi ingavonato sulla sinistra, affondò di poppa nel punto 35°50’ N e 17°35’ E, circa 150 miglia a levante di Malta. Non ci poté nemmeno essere un’ultima comunicazione da parte della nave, della quale inizialmente non si conobbe nemmeno con esattezza la sorte: ancora alle 7, infatti, il Geniere riferì di vedere lo Scirocco in difficoltà e sempre più lontano («Nave SCIROCCO ferma è scaduta miglia 15 di poppa a me lat. 38° alt Non posso dirigere verso nave SCIROCCO data mia situazione et sicurezza nave alt Nave SCIROCCO non risponde chiamate radiosegnalatore alt Pregasi disporre diversamente assistenza»), ma in quel momento lo sfortunato cacciatorpediniere era già affondato da più di un’ora. Doveva trattarsi di un’illusione ottica; d’altra parte l’ora stessa dell’affondamento non è certa (le 5.45 sono l’orario indicato dal superstite Michele Perugini, mentre il superstite Domenico Frisenda affermò che lo Scirocco fosse affondato a mezzanotte dello stesso giorno; le fonti ufficiali hanno dato maggior credito alla versione di Perugini, in quanto fu da questi riferita già il 26 marzo, subito dopo il salvataggio, dunque avendo ancora la memoria fresca). Il Geniere, rimasto solo, rientrò a Messina per ultimo, alle 19.36 di quel tragico 23 marzo.

 

Per giorni il mare fu setacciato da navi (la nave ospedale Arno, il cacciatorpediniere Folgore, la torpediniera Pallade) e aerei (idrovolanti da soccorso CANT Z. 506, che esplorarono un’area compresa tra il parallelo dove si era svolta la battaglia ed il parallelo di Siracusa e tra il meridiano 18°00’ E e le coste sicilane) in cerca dei superstiti dello Scirocco e del Lanciere, l’altro cacciatorpediniere inabissatosi nella tempesta.

La Pallade ed il Folgore, in particolare, furono fatti salpare da Messina alle 6.35 del 24, con l’ordine di raggiungere il punto 36°24’ N e 16°02’ E, a 46 miglia per 111° da Capo Passero: era quello il punto stimato di massima deriva possibile per lo Scirocco, del quale non si sapeva più nulla, neanche se fosse affondato o meno, dall’ultimo “avvistamento” del Geniere risalente alle 7 del giorno precedente. Pallade e Folgore arrivarono nel punto prestabilito alle 15, dopo di che iniziarono la ricerca lungo la direttrice 115°, in linea di fronte a qualche chilometro l’uno dall’altro; percorse 50 miglia, invertirono la rotta, spostandosi cinque miglia più a nord.

Scirocco-varo-Aw.jpg
Scirocco-varo-Bw.jpg
CT scirocco-Mw.jpg
Scirocco-1935-36-Aw.jpg
Scirocco-CT.jpg
Scirocco-nav-Aw.jpg

La ricerca proseguì fino alle 19.30, ma non fu trovato nulla: le due navi ricevettero ordine di tornare ad Augusta, dove giunsero il giorno seguente dopo aver dovuto affrontare anche un’improvvisa burrasca da nord, che causò loro danni e avarie. Il maltempo e la pessima visibilità vanificarono del tutto le ricerche aeree durante quella giornata.

Alle 8.10 del 25 marzo un idrovolante e avvistò un battello con tre naufraghi nel punto 35°40’ N e 16°58’ E (a circa 110 miglia per 126° da Capo Passero); non poté ammarare a causa dello stato del mare, quindi comunicò l’avvistamento all’Arno e rimase sul posto per tenere d’occhio il galleggiante. Tutto inutile: il battellino fu perso di vista, e né altri due idrovolanti inviati a cercarlo, né l’Arno sopraggiunta più tardi riuscirono a ritrovarlo. Non si saprà mai se fossero naufraghi del Lanciere o dello Scirocco.

Alle 8.30 del 26 marzo un altro degli idrovolanti impegnati nei soccorsi avvistò uno zatterino nel punto 36°14’ N e 15°26’ E (a circa 30 miglia per 150° da Capo Passero), ammarò nei suoi pressi e raccolse due sopravvissuti dello Scirocco, il sergente nocchiere Michele Perugini ed il marinaio Domenico Frisenda, quest’ultimo ferito.

Erano gli unici superstiti di un equipaggio composto da 12 ufficiali e 224 tra sottufficiali, sottocapi e marinai, e dei sette uomini che si erano originar

Il mare in tempesta, in quei tre giorni, li aveva allontanati di ben ottanta miglia dal punto in cui la loro nave aveva dovuto soccombere alla furia del mare.

Nessun altro cacciatorpediniere della Marina italiana andò mai perduto con così pochi sopravvissuti.

Il comandante Dell’Anno, distintosi nel suo precedente comando del cacciatorpediniere Alvise Da Mosto (col quale aveva difeso contro forze soverchianti la nave cisterna Iridio Mantovani) e ora scomparso in mare con lo Scirocco, venne decorato con la Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria.

 

Scomparsi nell’affondamento:

 

Francesco Balistreri, secondo capo meccanico, disperso

http://conlapelleappesaaunchiodo.blogspot.com/2015/07/scirocco.html

CT Varo-scirocco-Mw.jpg

Tipo cacciatorpediniere

Classe Maestrale

Proprietà Regia Marina

Costruttori CNT, Riva Trigoso

Impostazione 1931

Varo 22 aprile 1934

Entrata in servizio 31 ottobre 1934

Destino finale: affondato in una tempesta il 23 marzo 1942

Caratteristiche generali

Dislocamento  standard 1680t normale 2025t  pieno carico 2235 t

Lunghezza fuori tutto: 106,7 m Larghezza 10,25 m Pescaggio 4,3 m

Propulsione 3 caldaie  2 gruppi di turbine a vapore su 2 assi  potenza 44.000 hp

Velocità 38 (in realtà 32) nodi  Autonomia  4.000 n.mi. a 12 nodi

Equipaggio 7 ufficiali, 176 sottufficiali e marinai

Armamento 4 pezzi da 120/50 mm 2 pezzi illuminanti da 120/15 mm 8 mitragliere da 20/65 mm

6 tubi lanciasiluri da 533 mm  2 tramogge per bombe di profondità

Pin scirocco.gif
Il 'Geniere'

Il 1º marzo 1943 si trovava a secco in bacino di carenaggio, a Palermo, con altre imbarcazioni. Alle 13.30 ebbe inizio un'incursione da parte di bombardieri statunitensi della 12ª Air Force, con obiettivo il porto della città: nel corso di tale attacco, alle 14.30, il Geniere fu centrato da cinque bombe che aprirono vari squarci nella carena e che distrussero la porta del bacino, provocandone l'allagamento.

Il cacciatorpediniere iniziò a scivolare fuori dal bacino, imbarcando nel frattempo acqua; nel giro di un'ora il Geniere si abbatté sul fianco destro e si posò sul fondo, lasciando emergere solo parte della fiancata sinistra di scafo e sovrastrutture.

Successivamente all'armistizio il relitto della nave fu recuperato per essere demolito.

Nell'aprile 1944, risistemato in modo da poter galleggiare, fu preso a rimorchio per essere trainato a Taranto; durante tale navigazione, tuttavia, le falle si riaprirono, i cavi si spezzarono ed il Geniere s'inabissò di nuovo, definitivamente, a poche miglia da Capo Spulico (Calabria).

Il relitto della nave giace coricato sul fianco destro ad una profondità di 37 metri (la parte meno profonda arriva a 29 metri), con la prua orientata verso meridione.

Geniere-Palermo-luglio-1943-Aw.jpg
Geniere-bacino-palermo-1-3-43-Bw.jpg
Geniere-Bw.jpg
Geniere-bacini-Aw.jpg
bottom of page