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Istituto Nautico Gioeni-Trabia

Acquasanta-1908-Nautico

Il nostro istituto

L'Istituto Tecnico Nautico vanta una lunga tradizione storica. Venne ufficialmente fondato nel 1789 - anni importanti per la storia europea - da Monsignor Giuseppe Gioeni dei duchi di Angiò, acuto conoscitore dei problemi della Sicilia e generosissimo benefattore.

Il prelato, consapevole dell'importanza economica dell'isola per la sua centralità nel Mediterraneo, aveva riconosciuto l'assoluta incapacità dei comandanti dei bastimenti mercantili nella gestione del commercio loro affidato: questi "non sapevano né leggere né scrivere e sconoscevano la scienza della navigazione". Ciò portava gli stessi negozianti siciliani a noleggiare bastimenti stranieri. 

Monsignor Gioeni decise quindi di fondare a Palermo un Seminario nautico "capace di fornire alla città e alla Sicilia, gente di mare adeguata".La prima sede del Nautico fu un edificio all'Acquasanta, di proprietà dello stesso Gioeni, dalla strana forma di nave, ancora oggi esistente.

 

 

Nave di pietra
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Il Seminario inizialmente accolse a convitto 12 alunni paganti e 12 alunni ammessi gratuitamente, tra i 12 e i 18 anni, che dovevano aver già navigato almeno due anni: "veniva infatti applicato il principio inglese che la pratica di mare dovesse precedere la teoria della navigazione". Monsignor Gioeni che in seguito chiese ed ottenne dal Re dei finanziamenti, per quello che sarebbe diventato il Real Seminario Nautico, affidò la direzione dell'Istituto all'Ufficiale della Real Marina Giovanni Fileti e la tutela amministrativa a Don Pietro Lanza di Trabia col titolo di Deputato Unico.

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La costruzione della struttura costò circa 1000 onze d’argento, una cifra considerevole per l’epoca, e fu interamente finanziata dalla comunità, che comunque non nascose un certo scetticismo circa la possibilità che l’edificio resistesse alle maree ed agli agenti atmosferici. Come sappiamo oggi, queste preoccupazioni erano infondate, dato che la curiosa nave è ancora in piedi dopo oltre due secoli.Al tempo della sua costruzione, quello che oggi appare come un vecchio relitto doveva avere un aspetto imponente, con il suo grande scafo in muratura, il ponte piastrellato, i pennoni su cui issare le vele, una scaletta in pietra del tutto conforme a quelle in legno utilizzate nelle imbarcazioni dell’epoca, un’ancora (di cui è ancora visibile il foro d’accesso), degli oblò laterali in corrispondenza delle cuccette ed un caratteristico rostro in ferro ancora presente.

All’interno, oltre alle cuccette, si trovavano delle stanzette ricavate da alcune piccole caverne naturali, utilizzate per riporre attrezzature e piccole imbarcazioni. A poppa c’era invece una saletta degli ufficiali di pregevole fattura, con delle grandi finestre panoramiche da cui si poteva ammirare il circondario.

Questa curiosa opera, fu attiva solo per poco tempo, infatti, a meno di 20 anni dalla sua costruzione a causa del crescente numero di richieste, la scuola navale fu trasferita nel più capiente convento dei Padri Mercedari e la nave rimase dunque inutilizzata.Oggi, dopo essere stata inglobata nel tessuto cittadino ed occupata da alcune famiglie del luogo, la Nave di Pietra appare molto diversa da come doveva essere in principio. Gli oblò sono stati trasformati in comuni finestre, con tanto di persiane e l’originario ponte è diventato un terrazzo, sul quale le lenzuola stese ricordano le antiche vele per il quale era stato concepito.

Dopo più di 200 anni, questo colosso silenzioso aspetta ancora sotto le intemperie che qualcuno si ricordi di lui e del suo passato, restituendogli la dignità che merita.

De: palermoviva.it

Biografia di Giuseppe Gioeni

Monsignor Giuseppe Gioeni, nacque nel 1717 a Eraclea Cattolica, Agrigento. Morí a Firenze nel 1798 all’età di 81 anni.

Figlio di Giovanni VI Gioeni V duca dÁngiò, IV principe della Petrulla e di Eleonora Valguarnera. Fratello di Girolamo IV Gioeni, VI duca d’Angiò di Montallegro.

Ultimati gli studi, viaggiò a lungo in Germania, Fiandre, Olanda, Inghilterra, Francia, e allacciò intensi contatti con numerosi intellettuali stranieri, aprendosi alle nuove idee di progresso civile ed economico; più tardi, nel 1790,all’età di 73 anni vorrà visitare anche l’America centro-su un vascello della marina spagnola  e si recherà in Messico, Colombia, Brasile, Perù, .

Fu titolare dell’abbazia di Santa Maria del Pedale (Collesano) e di altre abbazie.

Gioeni fu un filantropo che investì gran parte del suo patrimonio per il finanziamento di opere di pubblica utilità, come le cattedre di agricoltura, di veterinaria e di disegno del nudo. Istituì anche cattedra di filosofia morale e civile, assegnando premi agli studenti più meritevoli, anche appartenenti ad altre cattedre di studio.


Donò grosse somme per la fondazione dell’Istituto della tela e dell’opificio della Seta all’Albergo dei Poveri e face anche costruire il portico sull’ingresso principale di Villa Giulia.

Al posto di una villa che possedeva dal 1775 all'Acquasanta, fece costruire un edificio in muratura e pietre con forma idealizzata di vascello e sulla terrazza, alberi con vele per simulare le manovre di una nave a vela che nel funzionò come un  Seminario Nautico che successivamente si trasformò, grazie all’intervento di altri filantropi come il principe di Trabia, nell’attuale Istituto tecnico nautico.

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Alla morte del prelato (1798) la direzione rimase al principe di Trabia. Nel 1792 l'Istituto, in cui il numero degli alunni era notevolmente aumentato, fu trasferito nell'ex Convento dei Padri Mercedari al Molo. In questi locali ... venne educata la gioventù che creò la grande marina mercantile siciliana, le cui bandiere corsero i mari,..e i cui capitani furono noti in tutto il mondo per perizia e coraggio". Il Collegio Nautico divenne in breve il centro degli studi nautici dell'isola: collaborò alla costruzione delle prime navi mercantili, rettificò la Carta piana del Mediterraneo, introdusse in Sìcilia la fabbricazione, riparazione e regolazione di strumenti nautici; gli stessi alunni scrissero un piccolo trattato di navigazione: "Compendio di navigazione per uso della marina mercantile", perché le altre scuole fondate dal Real Seminario a Cefalù, Messina e Trapani potessero utilizzarlo. All'interno dell'Istituto fu creato nei primi anni dell'Ottocento, un osservatorio astronomico; venne istituita prima al Molo e poi alla Kala, una scuola pratica di navigazione in seguito obbligatoria per il conseguimento della patente nautica. Alla morte di Don Pietro Lanza la direzione fu assunta dal figlio Don Giuseppe Lanza, mentre Michele Fileti succedeva al padre nella direzione dell'Istituto.

Tra il 1865 e il 1866 il Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, da cui il Seminario dipendeva, emanò alcuni decreti di riforma dell'istruzione tecnica. In questo periodo il seicentesco edificio fu ristrutturato, ampliato e attrezzato con nuovi gabinetti scientifici, con un nuovo albero di manovra nel cortile e una officina meccanica.

Nel 1887, come tutti gli altri Istituti Nautici del Regno anche il Nautico di Palermo passò alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione. Vennero introdotti nuovi programmi e moderni macchinari che adeguarono l'istruzione, professionale al progresso tecnologico, semplificando così l'inserimento degli alunni nel mondo del lavoro.

Bezout-Matematiche

Corso di Matematiche del Sig. Étienne Antoine Bézout, ristampato per uso degli alunni del Seminario Nautico di Palermo. Volume Primo che contiene l'Aritmetica; Volume Secondo che contiene gli elementi di Geometria piana e solida; Volume Terzo che contiene gli elementi di Trigonometria rettilinea e sferica; Volume Quarto che contiene l'Algebra e la sua applicazione all'Aritmetica ed alla Geometria; Volume Quinto che contiene il Trattato di Navigazione.

Étienne Bézout (Nemours31 marzo 1730 – Avon27 settembre 1783matematico francese.

Diventato matematico dopo aver letto dei lavori di Eulero, Bézout insegnò nelle scuole militari, divenendo anche esaminatore ai concorsi per l'ammissione in Marina; gli fu assegnato il compito di scrivere un libro di testo per questi corsi, che, con il titolo di Cours de mathématiques à l'usage des Gardes du Pavillon et de la Marine, fu pubblicato in quattro volumi tra il 1764 e il 1769, e in seguito ampliato, dopo essere divenuto successore di Charles Étienne Louis Camus come esaminatore del Corpo d'Artiglieria, come Cours complet de mathématiques à l'usage de la marine et de l'artillerie. Questo libro fu molto popolare, tanto da essere imitato e tradotto in diverse lingue: fu ad esempio usato all'Università Harvard. Nel 1769 divenne associato all'Accademia delle scienze francese.

A circa un secolo dalla sua fondazione, l'Istituto aveva diplomato 800 capitani di lungo corso, 300 capitani di navi a vapore e 200 macchinisti". Fondamentale é stato l'apporto dato dall'Istituto Tecnico Nautico "Gioeni-Trabia", dal nome dei suoi benefattori, alla grande epopea dei Florio.

I bombardamenti durante la II guerra mondiale danneggiarono gravemente la sede dell'Istituto che venne trasferito in un villino di abitazione "Villino inglese" in via Villafranca. Sede impropria per un Istituto Nautico che nel 1952 ebbe sede ìn via Quinta Casa, dei Gesuiti al Molo, un ex Convento adattato a Befotrofio.

 

Solo dal 1964 l'Istituto Tecnico Nautico occupa la sede di Piazza Santo Spirito che a tal uso é stato progettato dagli architetti A. Bonafede, P Gagliardo, G. Spatrisano e V. Ziino, nell’area dell’ex ospedale di San Bartolomeo.

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Il Nautico al villino Inglese

(Inglese è il cognome del proprietario)

La diaspora al tempo di guerra.

Ne abbiamo parlato a suo tempo, ma tutti noi che frequentammo il Nautico di via Quinta Casa, non ci domandammo mai perché la scuola era proprio lì e tanto meno perché si chiamasse Via Quinta Casa.

Però, due miei zii paterni, mi parlavano del vecchio Nautico al Molo, una volta situato sul prolungamento viario dell'Arsenale, da cui lo divideva una chiesa.

Scrisse la prof.ssa di lettere, Marcella Tomassetti, moglie del nostro prof. di lettere Santi Raimondo (classe 1920 come il prof. di navigazione Firicano): Fin dall'inizio della guerra (1940-43), il Cantiere Navale occupò larghe aree circostanti ivi comprese parte della palestra ginnastica in cui si trovavano la forgia e l'albero di manovra, come all'Accademia Navale. Queste occupazioni fecero intendere la impossibilità che l'istituto tornasse nella sua sede da cui era stato provvisoriamente trasferito fin dall'ottobre villino Inglese di via Villafranca – Sede del Nautico Gioeni-Trabia dal 1941 al 1952.

Ivan Lagana

Lo frequentai fino alla quarta capitani nell'aula a pianterreno (guardando a sinistra), che aveva un'altra finestra (che io utilizzavo come ingresso), la quinta capitani, nel 1953, già in via Quinta Casa.

Ivan Lagana

L'ngresso del prospetto era chiuso, il vasto atrio era diventato un'aula; si entrava da quello di servizio (sul lato destro), salendo sei o sette scalini sotto gli occhi dell'autoerevole capo bidello Versaci; sul retro c'era un altra porta che dava sulle officine e aule di fisica, RT e misure elettriche; al pianoterra c'erano altre due aule, presidenza (in cui subivo frequenti richiami e punizioni dall'ingegnere Giovanni Sconzo), segreteria, sala dei professori, biblioteca. Una stretta scala interna portava al piano superiore, dove c'era depositi di materiali e due (mi pare) aule dal basso soffitto. Quando arrivava (spesso a piedi, accompagnato dalla moglie) il professore Giuseppe Bartolozzi, noi ci tenevamo lontani per consentirgli la faticosa scalata senza sguardi imbarazzanti. La scuola era priva di palestra, le lezioni di Educazione Fisica erano tenute in giardino, a sinistra, da un diplomato Farnesina, stronzo e fascista, che a volte calzava stivali.

Mi fermo, la mia memoria visiva è sovraccarica di ricordi.

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Era stato scelto, non so a che titolo, un villino d'abitazione, il villino Inglese (dal cognome della famiglia proprietaria), situato in via Principe di Villafranca, al civico 50, angolo via Turrisi Colonna.

Ovviamente, i locali erano inadeguati sia per le aule che per le officine, gabinetti di fisica etc. Nel frattempo il glorioso Nautico, che risaliva al 1794 (ex convento), era stato rapinato e vandalizzato, tutto il materiale rimasto, scomparso, gli occupanti 'miricani fecero la loro parte latruniannu i preziosi testi settecenteschi di navigazione e tutta la strumentazione nautica alla capitan Cook.  L'archivio intatto, invece, era stato portato a Bagheria. Salvo poi, distruggerlo nell'ottobre 1961.

I picciotti studiarono nel Nautico-villino Inglese fino al dicembre 1952, quando trovarono discreta sistemazione in via Quinta Casa, in un grande edificio che era stato tutto: Convento o meglio Quinta Casa dei Gesuiti (la "prima casa" é l'attuale immensa Biblioteca Regionale in via Vittorio Emanuele); caserma, dogana, scuole elementari, avviamento professionale, brefotrofio, Boccone del Povero etc...Comunque, vi era stata una rarefazione di iscritti e diplomati durante il "Fassismo", allorquando si diplomò una media di 7 capitani tra il 1929 e il 1939; la guerra non produsse grandi effetti, se nel periodo 1940-1950 si diplomò una media annuale di 10 capitani. Nulla si ferma. Per curiosità, tra il 1867 e il 1965 (il nostro anno), 99 anni, si diplomarono 1319 capitani, col record di 39 nel solo anno 1915, quando si diplomò 'u Maistru', ovvero il prof. di Navigazione Domenico Cannavò, che andò in pensione nel 1964, da noi festeggiato.

La foto del villino Inglese in via Villafranca (ora c'è un palazzo), l'ha fornita l'erudito Francesco Maggiore, uno studioso profondo della storia di Palermo. Questo villino, con ingresso neoclassico, appare davvero fantastico...fece la fine di tutte le cose belle della città, anche per l'insipienza dei proprietari, che cedettero le loro prestigiose dimore in cambio 'ri picciuli e appartamienti, ben il 33% del costruito. Dall'anno scolastico 1964-65, il Nautico occupa l'attuale sede. La sua costruzione e ultimazione durò ben 15 anni, dal 1949 al 1964. E' un edificio immenso, molti giovani potrebbero davvero trarre giovamento da insegnamenti mirati. Intanto, bisognerebbe abolire la lingua italiana, perché sulle navi che ormai tutte imbarcano equipaggi multilingue, la lingua di lavoro o "working language" è l'inglese. Solo così i picciotti sarebbero competitivi.

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Cronologia dell'Istituto Nautico Gioeni-Trabia

L'Istituto Nautico di Palermo ha una lunga tradizione storica che risale alla fine del XVIII secolo con una stima e una identitá distintiva educativa e professionale. Intere generazioni di giovani orgogliosamente hanno ricevuto il loro dilpoma per intraprendere una vita nel mare come ufficiali e finalmente comandanti.

Nel 1789, sulla spiaggetta della borgata dell'Acquasanta, venne costruito un edificio con forma di vascello, poi detto 'Nave di Pietra', dal benemérito Monignor Giuseppe Gioeni dei duchi di Angió, profondo conoscitore dei problema della Sicilia e della navigazione di allora.

Venne inaugurato l'11 di Maggio, e accolse i primi 24 alunni, 12 che pagavano e altri 12 "giovani nati nella Sicilia, colla condizione di sapere nell'entrarvi leggere e scrivere ed aritmetica e di tenere l'età di anni fra i 12 e 18 anni", con condizioni fisiche e morali e con un’esperienza di navigazione non inferiore ai due anni su navi a vela quadra e non feluche. Il ragazzo doveva, dunque, non solo conoscere gli attrezzi della nave ma mostrare una certa perizia nella navigazione, applicando il principio inglese secondo il quale la pratica di mare dovesse precedere la teoria della navigazione.

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Nella scelta degli allievi veniva adottato un criterio che privilegiava i siciliani ma, soprattutto, i figli dei padroni di bastimento e di piloti rispetto ai ragazzi poveri dell’isola. Oltre a questi il seminario poteva ospitare degli “esterni” disposti a pagare una retta per vitto e alloggio.

Monsignor Gioeni affidò la direzione dell’Istituto all’ufficiale della Real Marina Giovanni Fileti e la tutela amministrativa a Don Pietro Lanza di Trabia. La scarsa disponibilità finanziaria indusse il direttore Fileti a scegliere solo 12 allievi: Antonino Previte, Giovanni Previte e Francesco Buono di Trapani, Giuseppe Tedesco e Mario Salemi di Temini Imerese, Francesco Aronne e Filippo Cotroneo da Messina, Giovanni Cassano da Pantelleria, Francesco Maria da Lipari, Luciano Castellucci da Siracusa, Gioacchino Filiberto e Giovanni Riso da Palermo

Finanziato dal Re Ferdinando divenne súbito "Real Seminario Nautico" sotto la amministrazione di don Pietro Lanza, príncipe di Trabia.

Dirigeva il 'Seminario' un ufficiale di marina, la parte religiosa era impatita dai preti, la insegnanza da laici: si studiava algebra, trigonometria piana e sferica, geometria, sfera armillare, e  quella parte dell'astronomia che apparteva alla navigazione.

Nel 1792, con il notevole aumento del numero di alunni, il 'Coleggio Nautico' si trasferí nella casa del Convento dei Padri Mercedari al Molo, in pieno porto dove si potevano osservare le manovre dei bastimenti di guerra e mercantili, all'entrare e uscire dal porto ed i lavori di carenaggio.

Ultimati gli studi, i giovano dovevano fare un lungo perido di apprendimento pratico 'sopra legni reali o mercantili´, ed infine come piloti e capitani. Il Seminario aveva pure attivitá scientifiche considerabili.

Nel 1806, il Seminario Nautico realizzó, dopo ben quattro anni di ricerche e lavoro, la Carta Piana del Mediterraneo, corretta e rettificata, sotto gli auspici di Ferdinando IV della Due Sicilie, e da Giovanni Fileti, pilota maggiore della Reale Marina di Napoli.

Nel 1864, sotto il Regno d'Italia tutte le scuole, anche il Nautico, passó alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione. Si avvicinava la epepea dei Florio...

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Nel 1861 il corpo edilizio dell'ex convento fu sopraelevato di un piano e accolse al suo interno il Collegio Nautico (poi Istituto Nautico "Gioeni-Trabia")

Con la prima incursione aerea sulla zona del Cantiere Navale nella domenica del 23 giugno 1940, dai francesi, crollarono alcune aule dell'Istituto Nautico di via Cristoforo Colombo 158.

Con più distruzione con la cadute di bombe nel 1943

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Nel 1943, i bombardamenti durante la II guerra mondiale danneggiarono gravemente la sede dell'Istituto che venne trasferito in un villino di abitazione villino "Inglese" in via Villafranca. Sede impropria per un Istituto Nautico.

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Nel 1952, ebbe sede ìn via Quinta Casa, dei Gesuiti al Molo, un ex Convento dei Gesuiti adattato a befotrofio.

Nel 2010-2011, Con la Riforma dei cicli d’istruzione, in vigore dall’anno scolastico 2010-2011, l’Istituto Nautico si inserisce nel Settore Tecnologico indirizzo: “Trasporti e Logistica”, registrando già, anche in anni precedenti, un aumento progressivo del numero di iscritti, che ha condotto all’apertura di due succursali, in Via C. Onorato e in Via G. Carta (2014).​

Nel 1964 l'Istituto Tecnico Nautico occupa la sede di Piazza Santo Spirito che a tal uso é stato progettato dagli architetti A. Bonafede, P Gagliardo, G. Spatrisano e V. Ziino, nell’area dell’ex ospedale di San Bartolomeo. 

L'Ospedale S. Bartolomeo fu danneggiata dai bombardamenti del 1943, forse si poteva recuperare come il vecchio Nautico al Molo. Si preferì demolire tutto, lasciando il loggiato enorme. Il nuovo Nautico, come progetto risale al 1949, ma solo nel 1955 cominciarono i lavori di costruzione, per entrare in funzione nel 1964-65, appunto.

Sextante 1790  Invented & Made by Trough
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Sestante del 1790 Inventato e fatto da Trougton, Londra

Professori e allievi del Nautico Gioeni-Trabia
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Cronache del Nautico

Quando si studiava in serio

L’anno scolastico 1961-62 all’Istituto Tecnico Nautico “Gioeni Trabia”, allora in via Quinta Casa, iniziò il 2 Ottobre, lunedì.

Premessa d’obbligo per i più picciotti: A quei tempi non c’erano scusanti, le lezioni cominciavano il 1° ottobre o, come in questo caso, il 2, perché ovviamente, il 1° ottobre era domenica. Bontà loro, i primi giorni si facevano solo 4 ore, con ripetizioni e caterva di compiti per casa inerenti al programma del passato anno scolastico. Tutti gli insegnanti erano al loro posto, né assenti, né supplenti. Entro due-tre giorni veniva diramato l’orario definitivo delle lezioni e si cominciava subito a fare sul serio senza futilità e contrattempi. Non c’erano vacanze extra o “ponti”, le uniche vacanze erano quelle dei giorni segnati in rosso sul calendario a parte quelle di
Natale dal 24 dicembre al 7 gennaio e quelle di Pasqua. Raramente ci fu concesso di assentarci per un’ora o due e ciò avvenne in concomitanza di qualche avvenimento eccezionale: 1) Eclissi totale di sole del 15 febbraio 1961, il culmine, quasi buio, fu intorno alle 10 del mattino, alle 10:30 tutti inclasse “ ‘o scuru”. 2) Visita alla portaerei americana “Enterprise”, 16 marzo 1963, alle 9 tutti al porto, visita alla nave, alle 11:30 tutti in classe. E così via.

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Al centro, il professore Giuseppe Bartolozzi con i suoi alunni di quarta capitani

Primo a sinistra, Gaetano Marchese

I professori erano tutti persone stimate e autorevoli e noi li rispettavamo maledettamente e loro rispettavano noi.

Due generazioni di studenti (sezione Capitani) assaggiarono le grinfie del prof. di matematica Giuseppe Bartolozzi (Grammichele 1905-Palermo 1982), matematico, cui hanno dedicato una via, traversa di via Ruggero Loria. Essendo paralitico (polio), riusciva a malapena a spostarsi per pochi metri, penosamente, con l’aiuto delle stampelle. Non poteva spiegare alla lavagna, e quindi spiegava seduto alla cattedra, direttamente agli studenti, le cose che aveva scritto lui stesso sul libro. Ogni mattina, il bidello Nunzio Barbera (in uniforme), lo andava a prendere a casa, in via Brigata Verona (grande rez-de-chaussée angolo viale Campania), e col 1100 del professore lo portava a scuola. Aveva l’aula a piano terra e quindi erano gli studenti che andavano da lui.

Ivan Lagana

Bartolozzi è stato un insegnante intelligente, appassionato, assolutamente equo e ricco di un calore umano che traspariva dietro la sua severità; ci conosceva, ci capiva e guidava uno per uno. Trentacinquenne, ho avuto la fortuna di incontrarlo, nella sua casa dietro via Brigata Verona, manifestandogli la grande stima che noi tutti avevamo sempre avuta nei suoi confronti, alla presenza dei professori D'Asdia e Giambalvo. Commosso e con gli occhi umidi, rispose che la sua vita era stata molto faticosa, ma gli aveva dato molte soddisfazioni.

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Al centro Professoressa Anna Viola, da sinistra Professori Cannata, Preside Gialbalvo, Firicano, Marletta

"Fifiddu Schiavo, bidello del Nautico, con Pasqualñino

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Festa della Seconda  Riconoscenza o Ringraziamento ai Professori 1965 boccone del povero v
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Un insolito e sconosciuto primato

Nella foto in alto, 3a, 4a, 5a capitani, 28 febbraio 1964, ci sono futuri comandanti di navi, piloti, comandanti di capitaneria, ingegneri, funzionari di banca, farmacisti, comandanti di rimorchiatori, comandanti bacini di carenaggio, manager MSC a Port Everglades, anche imbucati, un costruttore e un macchinista, ecc., ecc..

Ebbene, quella mattina del 2 ottobre 1961, noi “picciotti” vedemmo spuntare una ragazzina che alle 8:30 entrò assieme a noi. Si sparse subito la voce che la ragazzina si era iscritta alla 1a classe del biennio comune. Insomma, la prima donna al Nautico dopo 172 anni di vita dell’Istituto stesso. Dopo il biennio, la ragazza optò per la sezione Costruttori Navali. Il resto potrebbe raccontarlo lei stessa.
Nella foto del 29.2.1964 , i picciotti del triennio Costruttori, (presenti 18 su 23) con la prima donna iscritta al Nautico, Maria Concetta Gambino, che qui frequentava il 3° anno Costruttori.
Articolo del Giornale di Sicilia, 24-25 Ottobre 1961,che intervistava la ragazza...

3a Costruttori Nautico Quinta Casa 1964
Gambino intervista

Uno sciopero per il nuovo nautico


Nel 1961, il nuovo edifico del Nautico, al Cavallo Marino, era strutturalmente completato, ma mancavano le "palanche" per completarlo del tutto.

Alla fine di quel mese di ottobre del 1961 organizzammo uno sciopero epico per protestare contro l'inazione del Ministero dei Lavori Pubblici, con sfilate e sit-in fino al Palazzo Pretorio, dove una delegazione di studenti con a capo Manlio Orobello della 5a Capitani (poi sindaco della città Dicembre 1992-Aprile 1993) fu ricevuta dal sindaco di allora Salvo Lima.

Fu sbloccata la strabiliante cifra di 110 milioni di lire e così il Nautico fu completato ed entrò in funzione nell'anno scolastico 1964-65.

Durante lo sciopero, occupammo simbolicamente anche il completando edificio, installandoci sul tetto dello stesso. Intanto, qualcuno pensò bene (?) di cominciare a trasferire l'immenso Archivio della vecchia sede di via Quinta Casa, nella nuova sede.

Nobile iniziativa, solo che ci fu ordinato di...bruciare tutto!!!!!!!! Per giorni, noi picciotti, mettevamo i preziosi documenti, libri etc dentro due fusti vuoti di 200 litri, mandando tutto in fumo.

Per me era una pugnalata al cuore e così cercai di salvare qualcosa tra cui il Registro o Diario del Professore di Matematica, il matematico Giuseppe Bartolozzi (Grammichele(CT) 1905 - Palermo 1982), al quale è stata intitolata una via, traversa di via Ruggero Loria. Salvai anche un libro di matematica scritto nientemeno che da Bezout, stampato 1821.

Il registro riguarda l'anno scolastico 1958-59 per il biennio sezione Capitani e 2a A.

L'immagine si riferisce alla classe 4a Capitani, in cui figura Pasqualino Marchese (vicolo Pipitone), Piemonte Settimo (via Vincenzo di Bartolo, zona Montalbo). C'è Mario Mongiovì e i due usticani (oggi, usticesi) Felice Leone (1937-2017),poi valoroso comandante della Siremar e Felice Maggiore, poi manager del porto di Ravenna. Erano cugini, figli di sorelle.

Degli altri, non so dire se c'era ancora qualcuno dell'Acquasanta-Arenella-Montalbo.

Da quel primo trimestre emerge che, riuscire a spuntare un "SEI" era faccenda ardua, le assenze poi testimoniano il desiderio dei picciotti di sfuggire alle grinfie di Bartolozzi che si esprimeva in termini militari del tipo: "Da domani tutti in trincea", "Da domani l'artiglieria aggiusta il tiro", ma anche con frasi meno impegnative del tipo: "Sta uscendo fuori una mostruosità" a proposito dello svolgimento di una equazione alla lavagna da parte di un alunno....

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Ciná Gaetano, ufficiale Marina Militare e comandante Marina Mercantile.

D'Angelo Pietro, ufficiale Marina Mercantile.

Leone Felice, Comandante.

Maggiore Felice, ufficiale Marina Mercantile, autorità Porto di Ravenna.

Marchese Pasquale, ufficiale Marina Mercantile.

Matto, ufficiale Marina Mercantile, fondatore Scuola di Nautica, autore del libro di Cinematica Navale.

Modica Umberto e Vittorio, gemelli, ufficiali Marina Mercantile e comandanti.

Mongioví Mario, Marina Mercantile e direttore nella Tirrenia.

Piemonte Settimo, Comandante.

Ponari Mauro, ufficiale Marina Militare Italiana.

Porretto Leonardo, comandante, pilota del Porto di Palermo.

Taranto Bernardo, ufficiale Marina Mercantile

Una gita a Terrasini

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Gita a Terrasini, Aprile 1957 dei picciotti del 2° Nautico. Il pullman è fermo nel corso principale (quello de "I cento Passi"). Notare in alto a destra l'insegna con la "R" della Lanerossi-Vicenza. Fila in basso, secondo da destra: Pasqualino Marchese, giacca bordò (vicolo Pipitone)

In crocera
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La nave scuola 'Giorgio Cini II' benedetta dal cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII
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Il primo secolo di storia del Nautico di Palermo

Libro digitalizzato da Google

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Gioeni Trabia Nautico
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Anche con mare calmo o venti in poppa, sempre in guardia!
Quando il Seminario Nautico preparava la difesa dai corsari
Articolo di Mario Genco

Quando monsignor Giuseppe Gioeni e Valguarnera dei duchi d'Angiò, colto patrizio palermitano giramondo fondò il Seminario Nautico di Palermo, lo dotò di un corpo insegnante ben preparato, di una biblioteca con i più accreditati e moderni testi dell'arte navale e del commercio marittimo e chiamò a dirigerlo Giovanni Fileti, esponente prestigioso di una famiglia di capitani di mare originaria di Termini Imerese. Giovanni Fileti aveva fondato per incarico del re la Scuola nautica di Sorrento e quando conobbe monsignor Gioeni comandava il Tartaro, il cosiddetto Pacchetto (dall'inglese packetboat, battello postale) che assicurava il servizio postale di Stato fra Napoli e Palermo. Durante le lunghe traversate, i due avevano alimentato una solida stima reciproca e avevano elaborato il progetto del Seminario, che inaugurò il primo corso l'11 maggio del 1789, meno di due mesi prima della presa della Bastiglia e dello scoppio della grande rivoluzione.

Di lì a poco il Mediterraneo sarebbe diventato un mare di guerra e i primi giovani capitani diplomati dal Seminario - poi diventato Collegio Nautico - cominciarono a fare esperienza oltreché con il governo dei bastimenti e le tecniche e le astuzie del commercio, con gli assalti e gli stratagemmi degli scontri navali. Perché la guerra era, sì, fra la flotta britannica e quelle francesi, ma anche i bastimenti mercantili erano armati di cannoni e spingarde, pronti alla caccia della guerra corsara, predatori e prede secondo il volgere della fortuna o della malasorte.

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Il Seminario era stato dotato dal re di un bastimento, insieme nave scuola e legno mercantile e da guerra: un vecchio e un po' malconcio sciabecco, che Fileti aveva rimesso in condizione di ben navigare. Aveva un doppio nome, com'era frequente nelle navi di quei tempi: si chiamava Madonna (a volte, Vergine) della Provvidenza e Seminario Nautico. Al comando dello stesso Giovanni Fileti, nel 1800 lo troviamo nella squadra navale anglo-borbonica che strappò Malta ai francesi (e da allora l'isola diventò territorio britannico, nonostante le vane rivendicazioni di sovranità di re Ferdinando). Ma il comandante di ruolo del bastimento era, da almeno due anni, Giovanni Riso, che come "alunno povero" era stato fra i dodici ragazzini ammessi al primo corso della scuola e poco dopo il diploma, giovanissimo, aveva avuto il suo primo comando. Nella relazione giornaliera inviata al Comandante del Dipartimento Marina, il 20 agosto 1798, «don Diego del Corral, Cap.no proprietario [titolare] del Porto di questa Capitale» certificava che «avendo fatto la revisione dello Sciabecco palermitano n.to la Madonna della Provvidenza e il Seminario Nautico di Cap.no Giovani Riso ho trovato essere il medesimo consistente nelle seguenti persone... di maniera che sono in tutto quaranta uomini compreso detto capitano, ed inoltre un passeggiero».

Giovanni Riso aveva ventidue anni e a bordo di Riso ce n'erano altri due, verosimilmente suoi parenti: Francesco, trentantadue anni, e Giovanni di dodici, certamente allievo del Seminario al primo imbarco come mozzo. Stessa relazione l'anno successivo: stavolta l'equipaggio era di trenta uomini, diversi dall'equipaggio precedente, solo il mozzo Giovanni c'era ancora.

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In un'altra relazione del 2 agosto 1801, il comandante del porto Ferdinando Giarrusso forniva una sintetica ma esauriente descrizione del bastimento e del suo capitano: «Certifico che capitano Giovanni Riso, Alfiere della Real Marina, Capitano del suo sciabecco nominato Vergine della Provvidenza e il Seminario Nautico, a trealberi, di portata di ottocento salme [poco più di duecento tonnellate di stazza netta attuali], di proprietà di S. E. il principe di Trabia [casa Trabia era la tutrice, definiamola così, del Seminario], con cannoni dodice e pitreri ossia tromboni dodice, con numero quaranta persone del suo equipaggio detto capitano compreso, parte per la volta di Lisbona...».

La nave-scuola del Seminario non partiva solo per una crociera d'istruzione: era ben armata ed equipaggiata, pronta a rintuzzare eventuali assalti di corsari francesi e, alla prima buona occasione, a farsi predatrice a sua volta. Una scuola dura e non priva di rischi, quella dei giovani allievi ufficiali.

Quando Giovanni Riso, diventato un ricco commerciante e nominato barone, da comandante della Guardia nazionale nella rivoluzione del 184849 fu tra coloro che convinsero alla resa il Senato palermitano, il rivoluzionario democratico Pasquale Calvi gli rinfacciò i suoi trascorsi da "pirata".

Se fin qui la militanza corsara del bastimento del Seminario Nautico, pur verosimile, non è esplicitamente evidente, essa è invece dichiarata nel bollettino degli arrivi giornalieri di bastimenti nel porto di Palermo: «Quest'oggi sono entrati i seguenti Bastimenti: Sciabecco corsaro della nostra Real Marina il Collegio Nautico [così era stato ribattezzato l'istituto, e perciò anche la sua navescuola], comandato dal Cap. Andrea Di Bartolo, [proveniente] da Ponza in due giorni con vari passeggieri, con un sergente, due caporali e nove soldati».

Andrea Di Bartolo era lo zio e padrino dell'usticese Vincenzo Di Bartolo, che sarebbe diventato un capitano famoso per aver aperto alla marineria meridionale, e forse Italiana, la via per il ricco mercato delle spezie delle Indie Orientali, come allora veniva chiamata l'Indonesia. Né Vincenzo era l'unico capitano della famiglia; lo furono anche i tre fratelli più piccoli: Andrea Costantino e Giuseppe, tutti comandanti di velieri atlantici prima e poi di piroscafi. Nel primo quindicennio dell'Ottocento, re Ferdinando IV era stato retrocesso, diciamo così, a III e cacciato da Napoli dai Francesi s'era installato a Palermo, la Sicilia e qualche isola tirrenica essendo tutto quel che restava del suo regno.

Palermo era diventata una delle capitali mediterranee della guerra di corsa, impresa in cui si lanciarono non pochi commercianti e armatori palermitani, fra i quali, per citare un nome famoso, il bisnonno dello scrittore Luigi Pirandello, Andrea, che mise in mare almeno quattro bastimenti corsari. Insieme con una numerosa flotta privata, operava anche una flottiglia alle dirette dipendenze del governo. In quanto vascello pubblico, lo sciabecco comandato da Andrea Di Bartolo faceva parte di questa flottiglia. Il che non gli impediva di violare le severe disposizioni che regolavano la gestione delle prede, che potevano essere vendute all'asta solo nel porto di Palermo, a cui tutte le navi catturate dovevano essere condotte con il carico intatto.

Da un documento del 1810 risulta che il capitano corsaro Di Bartolo, all'ancora a Stromboli, aveva acquistato dal collega corsaro Gamardella una pezza di "abracio", panno rozzo usato per tende e cappotti. Essere corsari e non frodare il governo era obbligatorio per legge ma i documenti disponibili all'Archivio di Stato raccontano tutta un'altra storia.

Nazareno Filò e il Nautico

MA CHE COSA È STATO PER ME FREQUENTARE IL NAUTICO?

La maggior meraviglia? In classe eravamo pochi, pochissimi!

Naturalmente parlo degli Allievi Costruttori; per gli altri corsi il discorso era abbastanza diverso.

Ma, per quello che mi riguarda, ci ritrovammo otto in terza, otto in quarta e nove in quinta.

La vita scolastica, quella di indirizzo, era notevolmente diversa da quella canonica: non c'era bisogno, o quasi, di interrogazioni, pochi i compiti a casa. Praticamente, si faceva tutto in classe.

Naturalmente le materie comuni - Italiano, Storia, Geografia, Matematica, etc., venivano svolte insieme a dei colleghi del corso macchinisti e la classe, per l'occasione, prendeva la denominazione "macchinisti bis".

Sorvolerei sui soprannomi correnti a quell'epoca! La fonte maggiore di diversità era rappresentata dal fatto che noi (i costruttori) ragionavamo in termini di Taylor e Froude, mentre loro (i macchinisti) argomentavano sul diagramma entalpico entropico di Mollier e la comprensione era piuttosto ardua. Per fortuna gli interscambi sulle materie comuni erano ottimi. Ma poi, perché sorvolare?

I capitani erano soprannominati "'gnuri" (fiaccherai), i macchinisti "quararari" (calderai) e i costruttori "falegnami".

Ma non c'era niente di cattivo negli epiteti.

Si trattava di bonaria ironia...che però, di quando in quando, ma solo per maldestre incomprensioni, sfociava nelle vie di fatto!

[Tra i tanti da ricordare voglio annoverare Nardo Taormina, macchinista, futuro Direttore di Macchina nelle Texaco, amante della lirica come e forse più di me. Fu lui a portarmi - ed era la mia prima volta - al Teatro Massimo per assistere a un Rigoletto cantato da Ettore Bastianini (che divenne poi il mio modello canoro) e Luciano Pavarotti.]

Chi me lo doveva dire che quello sarebbe diventato il mio mestiere principale!?

Ma torniamo al Nautico. Una scuola allora abbastanza sui generis e certamente diversa da quelle conosciute dai più.

I programmi contenevano materie comuni ad altri corsi di studio, ma c'erano anche le materie "marinaresche", che potevano sembrare romanticamente interessanti, ma che, certamente, presentavano caratteristiche peculiari che le rendeva davvero uniche.

Quale materia scolastica del liceo ti può salvare la vita? Ma un nodo fatto bene o fatto male certe volte...

In quegli stessi anni mio cugino Vito frequentava il Garibaldi e capitava, a volte, che lo andassi a trovare perché "mi era di passaggio" (ricordiamoci che al Nautico c'era una sola ragazza, la prima in assoluto).

Ecco, in quelle occasioni mi sembrava di entrare in un altro mondo e non capivo che, invece, ero io l'alieno!

Cos'era questa differenza? Certo ancora la particolare sostanza delle materie da affrontare.

Come dire che, forse, ancora c'era qualche molecola dell'intento di Mons. Gioeni di formare un gruppo, una corporazione, una categoria, insomma

[Figura certamente da non dimenticare quella di Mons. Gioeni, uomo dallo sguardo interiore lunghissimo, che volle fondare questa scuola nautica per riscattare una marineria locale un po’ debole nella scrittura e nel far di conto.

Era il 1789. Mentre in Francia si preparava la Rivoluzione, qui si formavano i capitani del domani.

Di macchinisti non si parlava: si andava ancora a vela.

I maestri d'ascia invece c'erano già, ma se appena sapevano leggere il sert era un miracolo, cosa che, però, poteva evitare figuracce come quella del Vasa.]

E intanto gli anni trascorrevano uno dopo l'altro senza particolari scossoni, gli studi proseguivano tra alti e bassi e, invariabilmente, ogni anno venivo preso dal panico quando alla radio (ho sempre studiato con la radio accesa) veniva trasmessa la sigla del Giro d'Italia. Quella sigla voleva dire che l'anno scolastico stava per finire e io ancora avevo un sacco di cose da preparare. Non avrei mai fatto in tempo! Viceversa, le cose andarono sempre per il verso giusto, anche se senza miei particolari meriti. Come si diceva allora? "Potrebbe fare di più, ma non si applica".

Per altri versi, ogni anno c'era quello che veniva chiamato "rivugghiu".

Il solito sciopero degli studenti che capitava invariabilmente sotto le feste natalizie, "perché i picciotti non hanno voglia di studiare", perché "sinni vonnu iri a passiari" e così via. Così veniva detto da taluni.

Forse c'era anche un poco di verità in quelle dichiarazioni, ma il Nautico manifestava soprattutto perché voleva e aveva bisogno di una nuova sede che, tanto per cambiare, era già pronta da un pezzo.

Finché si arrivò a una seria occupazione (con l'appoggio celato del preside e dei professori) e miracolosamente, l'anno scolastico 1964/65, il mio ultimo, si svolse nella nuova sede del Cavallo Marino.

Infine l'avventura esaltante dell'esame di Stato del quale, per la verità, ho ricordi molto parziali.

E poi il diploma. Un po' tormentato, ma dal finale indimenticabile. Ma torniamo all'odierna riflessione.

Ricercando la "figura di riferimento", archetipo dei luoghi e dei tempi, dopo tanti trascorsi, tanti cambiamenti, tante trasfigurazioni, pur riconoscendo la valenza intellettuale e spirituale di ognuno degli attori di quei tempi - docenti o discenti poco importa - verrebbe da chiedersi: ma chi era, davvero, il punto di riferimento (o di accumulazione in senso matematico) dell'istituto? C'era.

E non era uno degli attori specifici e specialistici (e ce n'erano con tutti gli attributi!) già variamente celebrati.

Era, piuttosto, la persona che per posizione, disponibilità, carattere e abnegazione si trovava a contatto con tutti, nessuno escluso.

Parlo dell'ex capitano degli alpini, mons. Antonino Porcaro, insegnante di religione e noto a tutti come Padre Nino.

E non andrò oltre, perché, diversamente, occorrerebbe scrivere un altro libro. Si, ma infine, a che cosa è servito passare da questa scuola? A ricevere il marchio dell'appartenenza al mare. Ecco a che cosa serviva il Nautico.

L'ho capito, ovviamente, molto tempo dopo, quando mi sono chiesto che cosa avessi a che fare con il mare dopo il luogo di nascita, il mestiere di mio padre, lo stabilimento balneare Delizia Petrucci, la passa delle allodole [che si faceva in barca e, a volte, diventava una specie di battaglia], la Marina Militare, il canottaggio, il cantiere nautico.

Il Nautico è servito da collante a tutti questi mattoncini per ottenere la forma finale.

In quanti hanno fatto le stesse esperienze, in tutto o in parte, ma senza il Nautico? Episodica, aneddotica. Ma se ci metti il Nautico allora diventa vita da raccontare e le cose cambiano. Quindi, come si diceva, appartenenza.

Certo le appartenenze possono essere tante e varie. Io stesso ho fatto o faccio parte di aggregazioni professionali, religiose, sociali, politiche, ricreative, etc. etc.

Eppure, quando capita di incontrare qualcuno che ti dice "ma dove ci siamo già visti?", o quando si parla di problemi specifici o, peggio, quando si parla di Schettino (ma io preferisco parlare di Gulì o di Calamai) perché per connotarti ti viene fuori: io ho fatto il Nautico? Ecco il marchio, l'appartenenza.

Certo, tutto questo può essere vissuto come fatto snobistico, come in certi circoli bene. Ma per mare, quando ci si lavora, non c'è tempo per gli snobismi e chi lo facesse, prima o poi, ne avrebbe di che pentirsene.

Noi non vestivamo alla marinara (forse, qualche volta, anche).

Noi abbiamo vissuto variamente il mare.

E ci è rimasto dentro.

La mia decisione di "andare al Nautico" - come si diceva rispondendo alla domanda "che scuola vuoi fare?" - non è stata certo dettata da una casualità o da una scelta impulsiva o, come avveniva per tanti ignari che ci provavano, dal tentativo di aggirare l'ostacolo rappresentato da scuole titolari di piani di studi ritenuti più impegnativi di quelli di via Quinta Casa.

Il fatto è che a volte ci si affaccia al mondo con la strada - quella della vita - già tracciata senza, con questo, voler certificare l'esistenza del Destino, nel senso di Fato.

Tuttavia, l'andamento dell’esistenza di ognuno di noi - oltre alla volontà e la voglia di fare - può dipendere da cose disparate e impensate: dalla tua vista o dal luogo di nascita, oppure dai discorsi che si fanno in famiglia o dalla scuola media che hai frequentato, dai mestieri esercitati da chi ti sta vicino, dai consigli (ma bastano anche solo le chiacchiere) di amici e parenti, dai posti frequentati e ancora tanto altro.

L'elenco potrebbe diventare chilometrico e potrebbe essere vero anche tutto il contrario.

[Così avvenne che, deposte le fantasie seminaristiche inculcateci dai salesiani, tra Ciccetto Caracciolo che tirava per il liceo scientifico e Giovanni e Carmelo Gargano che parlavano di Nautico, vinse il Nautico, anche perché in quel tempo io avevo già l'idea fissa di disegnare le navi.]

Navigare necesse est vivere non est necesse.

Questo aforisma, dal significato diverso a seconda da dove si incominci a leggere, è attribuito da molti al D'Annunzio, ma ebbe effettivamente come padre Plutarco e, al di là di ogni altra interpretazione o arzigogolo lessicale, esso ben inquadra l'importanza dell'attività da svolgere in quella realtà liquida che è il mare.

Ma a chi lo dico!? Qua siamo tutti nella stessa barca. O quasi.

Certo, se ti dovesse capitare di nascere nel deserto cinese dello Xinjiang, forse allora te ne potrebbe fregare un po' meno del mare, visto che, nella fattispecie, si troverebbe ad appena 2500 miglia e rotti. Ma non è detto.

[Prendiamo, ad esempio, Emilio Salgàri - si, proprio quello di Sandokan - capitano di lungo corso mancato, per aver interrotto gli studi presso il Regio Istituto Tecnico e Nautico "Paolo Sarpi" di Venezia appena al secondo corso e che non navigò mai, anzi non si allontanò mai da Verona e dalla terraferma. Tuttavia scrisse e descrisse avventure mirabolanti, ambientate prevalentemente in mare, alla stregua del più rifinito e incallito dei naviganti.]

Per quello che mi riguarda, nasco a Romagnolo, borgata di mare, primo agglomerato urbano di Palermo, se si proviene da Messina, sulla statale 113.

La zona è - o era, al tempo della mia giovinezza - caratterizzata da un litorale urbanizzato, dove spiccavano, tra loro contigui, i ristoranti Spanò, Di Filippo e Santopalato, gli stabilimenti balneari Virzì e Petrucci, la Colonnella di Corradino Romagnolo, l'impianto di spirito di agrumi, la Taverna del Tiro (che poi è lo Stand Florio, costruito nel 1905 su progetto di Ernesto Basile), il Solarium - retaggio della elioterapia praticata ai bambini tubercolotici del tempo (primo trentennio del '900) - il bottificio Alazio, la stazione ferroviaria a scartamento ridotto e il fiume Oreto.

Tutto qui? Beh no, Romagnolo è forse qualcosa di più, ma se si comincia col ricordare Corradino Romagnolo, Ugo delle Favare, Francesco Moncada, Gabriellino Ortolani di Bordonaro (questo l'ho proprio conosciuto, almeno il mio coevo), allora non si finisce più.

[Tuttavia, mi piace ricordare come la contrada Romagnolo, prima di assumere questo nome, si chiamasse Mustazzola, forse a causa della presenza, nel mare antistante, di uno scoglio piatto così chiamato e che, ai miei tempi, era indicato come «la Pietralba», una volta a una certa distanza dalla battigia, oggi ignominiosamente all'asciutto o quasi.]

A Romagnolo non ci sono mai state grosse tradizioni piscatorie, alla stregua di altre borgate, specie della zona ovest della città, come Acquasanta, Arenella, Vergine Maria. E, per di più, neanche quelle di tipo trasformativo e conservativo del pescato. In verità, non ci sono stati nemmeno grandi naviganti, tranne forse tale Perniciaro che, però, credo appartenesse ai corpi logistici. Insomma, né capitano, né macchinista.

Non ci sono nemmeno stati cantieri pescherecci, come a Sant’Elia o Porticello.

La carpenteria navale si limitava a gozzi (vuzzareddi) ben fatti, lance, sandolini, mosconi (oggi si chiamano pattìni), etc.

[Tutta roba che usciva dalle mani esperte dello «zù Tano» Gargano e di alcuni dei suoi figli, tutti ottimi carpentieri navali. Sulle sue lance è nata la mia passione per il remo, prima ancora della visione del film “Ben Hur”.]

Però c'erano gli stabilimenti balneari. I bagni.

E, giustappunto, intorno agli stabilimenti balneari ruotava tutta una realtà che si può definire marinaresca minore - prevalentemente a connotazione paraturistica - che andava, per esempio, dalla pesca dei granchi (da rivendere, lessati, ai "capannisti", cioè agli occupanti stagionali delle cabine in muratura dei Bagni Petrucci) all'affitto della lancia o del moscone per una "varchiata", cioè una gita in barca.

Questa veniva posta in essere rigorosamente a forza di remi, dal momento che i motori fuoribordo sì, si sapeva cosa fossero, ma si trovavano tutti in America e qui, presso i patri lidi, non se ne erano ancora visti. Forse se ne conoscevamo i nomi: Evinrude, Johnson, ma niente di più.

[Forse in relazione a quest'ultima attività si delineò la mia giovanile vocazione canottiera, che doveva portarmi fino al Centro Remiero delle Forze Armate di Sabaudia prima e poi alla Scuola Allenatori, insieme – tra gli altri - a tale Primo Baran, medaglia d'oro nel "due con" alle Olimpiadi di Città del Messico.]

A quei tempi e in quei luoghi era presente tutta una generazione di "picciottazzi", protagonisti di una intensa attività natatoria che andava, dalla mera nuotata solitaria o in compagnia a varie forme di competizione, compresa la pallanuoto.

Ai margini di questa complessa fenomenologia archimedea c'era il sottoscritto, discreto ma non eccelso nuotatore di superficie e, tuttavia, con pochi rivali sottacqua - veniva chiamata "arringata"- come ebbero bene ad accorgersene a S.Vito-Taranto!

[C'era anche la liturgia della «calata» e l'impossibilità di farla ad Antonello Petrucci, vero e proprio scoglio vivente!]

Come detto, nasco a Romagnolo e in una famiglia di agricoltori (ho la presunzione di credere che in pochi conoscano le melanzane come me).

Ma mio padre, ultimo e viziatissimo rampollo di mio nonno Domenico (una specie di ciclope a due occhi), decide che non vuole coltivare melanzane in estate e broccoli (cavolfiori) in inverno.

Lui vuole fare il meccanico e così, dopo alcuni passaggi in officine locali, approda al Cantiere Navale, quando ancora era privato e apparteneva ai Piaggio, quelli imparentati con la Vespa.

A questo punto i ricordi virano secondo direzioni diverse, si accavallano, si annodano, si nebulizzano...anche perché c'è di mezzo una guerra che, una volta passata, lascia - oltre al resto, terribile - una grande quantità di ricordi, aneddoti e storielle, a volte vere, a volte un po' "condite".

A mio padre (ma credo un po' a tutti quelli che hanno avuto esperienze particolari e inusuali) piaceva raccontare- militari e non - le avventure vissute.

Ciò pertanto, la mia infanzia venne farcita da spiegazioni sul funzionamento di ogni specie di motrice navale, ma anche di aneddoti vari, come per esempio quello del sig. Sampino (collega di papà) che una volta sostituì una biella rotta con un'altra di legno e il motore, almeno per un poco, riprese a funzionare.

E poi le scommesse sul serraggio, a colpi di mazza, del dado dell'asse portaelica, l'affondamento del ct. Dardo, il siluramento (tentato e non riuscito) dell'incrociatore «Bande Nere», la famosa esplosione della nave portamunizioni «Volta», avvenuta il 22 marzo del '43, bombardamenti vari.

[Mio padre la guerra la fece, senza stellette, al Cantiere Navale e, per quello che ne ho capito, non fu proprio una passeggiata.]

A proposito di vari, cioè la corsa su piano inclinato delle navi che scendono in mare (con qualche altro aneddoto su un signore che si occupava proprio di fare andare per il meglio il varo di turno e che tutti chiamavano «zù Giò» e che tanto bene avrei conosciuto qualche anno dopo).

Infine la storia riguardante l'ing. Mercadante, che calciava i dadi dei bulloni che incontrava sul suo cammino; fino al giorno che ne trovò uno che gli avevano saldato a terra e...la scarpa non resistette.

E poi c'erano gli americani. O meglio, c'erano le portaerei americane.

Nel primo dopoguerra la rada di Palermo era una specie di capolinea per queste navi, maestose quanto pericolose.

La cosa continuò fino alla guerra del Vietnam.

Una volta ne contai una dozzina presenti nel golfo di Palermo, scelto a parziale ricovero da un fortunale di indimenticabile forza.

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