Pasqualino e Gaetano Marchese hanno pure radici nella isola di Ustica, poiché la nonna paterna Paola era la decima figlia di Gaetano Palmisano e Cristina Caezza, sposata con Pasquale Marchese.
Fra le famiglie che colonizzarono la isola c’erano i Di Bartolo originari della vicina Trapani.
Si distinsero per essere gente dedicata al mare, dei primi capitani usciti dal recente fondato Seminario Nautico Gioeni sulla spiaggetta dell’Acquasanta. Suo zio Andrea ne era professore nella pratica della navigazione a vela comandando uno sciabecco e fu chi aiutò Vincenzo a risiedere a Palermo e seguir gli studi di nautica.
Correvano i tempi del commercio delle spezie con lontane terre orientali, i tempi di un prospero Regno delle Due Sicilie, tempi di conquiste commerciali e terre da colonizzare.
S’aveva bisogno di buona gente di mare, di capitani con necessari studi per allontanarsi dal Mediterraneo, navigando oceani tempestosi, acque sconosciute, con navicelle a vela, lontani da casa per mesi o anni, su coste infestati da pirati, ladroni e corrotti.
Malattie di ogni tipo, peste, scorbuto, rotture di ossa, morte… per pochi ducati, se tutto andava bene.
I ‘biografi’ di Internet hanno fatto di Vincenzo un mito, un Cristoforo Colombo palermitano, un capitano coraggioso allo stile di Rudyard Kipling. Meno Salvatore Mazzarella, che con il suo libro su 'Vincenzo Di Bartolo da Ustica’, presenta l’uomo di carne e ossa, sforzato uomo di mare, con le sue sofferenze, dolori e disperazioni.
Mettiamo a disposizione un documento di Mazzarella, riassunto che lo stesso ha fatto come contributo per ‘Il Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica’.
Ottante de la epoca
Il 12 Settembre 1824, il parroco di Ustica, don Michele Russo (Ustica 1765-ivi 1830), noto anche per la sua “Memoria sull’isola di Ustica”, scritta nel 1810 e pubblicata a Palermo nel 1875 (Biblioteca Regionale), rilasciò un certificato di battesimo, “per uso matrimonio”, riguardante il nostro navigatore, Vincenzo di Bartolo.
Il parroco riportò integralmente quanto a suo tempo scritto, in latino, sul registro parrocchiale dei Baptizati, da tal sacerdote Ieronimus (Girolamo) da Caltanissetta, che, il 7 Maggio 1802 aveva battezzato Vincenzo, Andrea, Liberto Di Bartolo, nato lo stesso giorno. Padrini furono don Andrea Di Bartolo, zio dell’infante, e Caterina Caldararo.
Si firmò il Sac. Michael Russo con il visto del “Sindaco Comunale” Emmanuele Bartucci.
Controfirmarono, Elisabetta Consiglio, la futura sposa, e il fratello Luigi Consiglio (capitano di bastimento), qual procuratore di Vincenzo Di Bartolo, che sarà assente al momento dell’Atto di Solenne Promesse a contrarre matrimonio in Chiesa.
Notare lo spettacolare timbro del Comune di Ustica ! Chissà se fu conservato, ne dubito.
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Atto di battesimo di Vincenzo di Bartolo
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Cartella con i documenti matrimonio di Vincenzo.
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Volume contenente tutti i documenti dei matrimoni della Sezione Molo, anno 1825 (Archivio di Stato, Palermo)
Considerazioni sulla vita reale di Vincenzo di Gaetano Marchese
Vincenzo Di Bartolo, navigatore, sulla cui data di morte tutti hanno sbagliato e nessuno ha mai corretto. Come è noto, il grande capitano gode l’eterno riposo in una degna sepoltura all’interno della chiesetta del cimitero di Ustica. L’epigrafe di una lapide parietale ne esalta virtù ed ardimentose imprese nautiche e commerciali negli insidiosi mari asiatici sud orientali, concludendo:
“ Nacque in Ustica 7 maggio 1802 e vi morì 20 aprile 1849”.
Invero, la data di morte è errata, perché morì il 30 aprile e non il 20 aprile 1849. A un Di Bartolo ormai devastato nel fisico e nella mente, rubarono pure ben 10 giorni di vita!
Se svista del mastro marmoraro, che lo si avvii immantinente alla gogna; se colpa del committente suggeritore, ancora peggio, fine pena mai.
Insomma, con queste lapidi non se ne imbrocca mai bene una, lapidi Chiesa docet.
Ebbene, tutti quelli che si sono occupati del grande comandante, sono incorsi e hanno perpetuato l’errore, a cominciare dal primo biografo (1856), il messinese Giuseppe Coglitore, che però, non poteva fare altro che riferirsi alla data riportata sulla lapide.
Gli altri invece, hanno scopiazzato acriticamente sia la data errata, sia tratti della biografia, dando spesso la stura a una deriva asinistica per certi versi divertente per le amenità riportate ma da stigmatizzare in toto.
Ci sono cascati Wikipedia, il Comune di Palermo (Biografie dei Siciliani Illustri), vari autori, giornalai di vari fogli e libelli che pretendono di occuparsi di cose palermitane e isolane.
Ad esempio, uno cita un “Benedetto Ingham” come finanziatore della prima spedizione verso le Indie Orientali. Non è mai esistito un Benedetto Ingham di tal guisa, bensì un Benjamin Ingham (Osset 1784-Palermo 1861), inglese, commerciante, banchiere e armatore del brigantino “Elisa” che fu affidato nelle mani sapienti del grande marinaro Vincenzo Di Bartolo. Un’altra scrive che fu il Re a concedere l’Elisa a Di Bartolo! Un’altra ancora dice che l’Elisa, partita da Palermo il 12 ottobre 1838 e passata dopo due mesi (10 dicembre) da Gibilterra, fece una ottima traversata, senza sapere che da Palermo alle Colonne d’Ercole, il viaggio fu infernale: mare e vento burrascosi da Ovest, ostacolarono l’Elisa in tutti i modi, mettendo a dura prova scafo ed equipaggio. Per avere un’idea, in quel periodo il “barco” inglese IDA di 340 tonnellate di stazza, riusciva a raggiungere l’Inghilterra da Palermo in 35-40 giorni, in barba alle tempeste della Guascogna (o Biscaglia).
Si dice pure che l’Elisa era una piccola nave. Dipende. “Grande”, “piccola” hanno una valenza molto relativa. Diciamo che con le sue 248 tonnellate di stazza, l’Elisa era ancora accettabile per affrontare quei viaggi. D’altronde, velieri di 350-500 tonnellate di stazza erano davvero una eccezione, come risulta dal Lloyd’s Register of Shipping di allora.
Un’altra giornalaia ancora, cita a sproposito il capitano Federico Montechiaro (da cui, Cortile 1° e 2° Montechiaro, all’Acquasanta, Palermo), il “secondo” di Di Bartolo, giovane ufficiale venticinquenne cui era affidata la navigazione, facendolo diplomare al Nautico di Palermo. Niente di più falso: Federico Montechiaro era nato ad Ancona (allora Stato della Chiesa) nel 1813, uscì da quel locale Collegio Nautico, si trasferì a Palermo, dove nel 1843 sposò una palermitana, per morirvi nel 1881. Si raggiunge il delirio parossistico, sfiorando il patologico, allorquando qualcuno scrive che Di Bartolo doppiò Capo Horn (!?) per arrivare a Sumatra e che poi raggiunse il grado di ammiraglio (!).
Si potrebbe continuare, ma vogliamo appena sottolineare che solo due non ci sono cascati: Gaetano e, naturalmente, Chris Caravella, che nella sua Ustica Genealogy, (un formidabile database da lui gestito col contributo della Congregazione di San Bartolomeo Apostolo di New Orleans) riporta la data corretta del 30 aprile 1849.
Nell’atto di morte n° 14/1849 dello Stato Civile di Ustica, si riporta in sintesi quanto segue:“Il 30 aprile 1849 davanti Don Salvatore Tranchina Presidente del Municipio e Uffiziale di Stato Civile del Comune di Ustica, si presentano due testimoni, Giovanni Spanò villico e Domenico Maiorana, calzolaio,i quali dichiarano che a ore due (contate all’italiana) del 30 aprile, è morto Don Vincenzo di Bartolo vedovo di Donna Elisabetta Consiglio, di anni 47, di professione Nautico (!) nato in Ustica, figlio del fu Ignazio e di Donna Caterina Pirera”. I due rivelanti non firmano per non sapere scrivere. Sottoscrive solo Salvatore Tranchina.Non si può fare a meno di notare che l’Uffiziale di Stato Civile fosse il Presidente del Municipio e non il Sindaco.
Erano tempi drammatici e confusi, da lì a 15 giorni, il governo siciliano, nato dai fatti del 1848, sarebbe caduto e l’ultimo atto di morte firmato da Don Francesco Giacino, risaliva al 2 giugno 1848, dove lo stesso Giacino veniva qualificato non come sindaco ma come Presidente del Comitato Provvisorio.
Dopo un anno di “assenza”, Francesco Giacino sarebbe ricomparso come Sindaco, il 29 giugno 1849 a restaurazione avvenuta.
Forse era stata una mera suddivisione di attribuzioni burocratiche. D’altronde, se Francesco Giacino fosse stato inviso ai Borbone, non avrebbe continuato la sua funzione di sindaco.
Ringrazio pubblicamente Edmondo Di Bartolo per le sue gentili parole: "....... solo per avvalorare la veridicità del "cape hornier" tramandata sino ad oggi. Anzi la ringrazio sentitamente per l'attenta ricerca che ha dedicato ad un personaggio di cui abbiamo dovuto perfino vergognarci per lungo tempo subito dopo l'unità d'Italia . I nostri trisnonni dicevano addirittura di non nominarlo. Per fortuna e grazie ad attenti studiosi come lei le cose sono cambiate".
Ho sempre avuto una particolare predilezione per questo "collega" di due secoli fa e non si comprende perché dopo il 1860 fosse diventato un avo scomodo di cui addirittura vergognarsi. Forse perché aveva servito il Borbone? Possibile.
Per quanto riguarda l'eventualità che Vincenzo di Bartolo fosse un "Cape Horner" esprimo un mio forte e personalissimo dubbio, perché Benjamin Ingham non aveva interessi commerciali che giustificassero l'invio di una nave da quelle parti per raggiungere poi quale meta? Come è noto, nel 1789, il testardo capitano William Bligh del "Bounty", proveniente dall'Inghilterra, provò a 'doppiare' Capo Horn per raggiungere Tahiti, senza riuscirvi...dopo un mese era sempre allo stesso punto, anzi, indietro. Le costanti tempeste occidentali glielo impedirono, per cui diresse verso Cape of Good Hope.
Non so quanto sia vera la consuetudine di fregiarsi di un orecchino d'oro per gli Horners, probabilmente tradizione ampiamente accreditata. E poi, impossibile dire se Vincenzo Di Bartolo non portasse orecchini d'oro per entrambi le orecchie, come era consuetudine per quasi tutti i marittimi del tempo.
Li aveva il mio bisnonno Vincenzo Marchese (1817-1893), nostromo della marina velica e a vapore. Alla sua morte, questi orecchini d'oro furono dati a due nipoti (fratelli di mio padre). Un orecchino in nostro possesso (diametro 11 millimetri), non fu più ritrovato qualche decennio fa. Peccato, sarebbe una testimonianza eccezionale dell'uso degli orecchini d'oro presso i naviganti.
Ci accontentiamo di un ripiego, la parte del passaporto di Gaetano Palmisano (Ustica 1833-Palermo 1888), che risale al 1860, per recarsi un Nuova Orleans, padre di mia nonna paterna. Nei connotati:...occhi "cilestri"...segni particolari: "orecchie forate", per gli orecchini, appunto.
L'uso degli orecchini d'oro per i naviganti, si perse alla fine dell'Ottocento. Per quanto riguarda i viaggi di Vincenzo di Bartolo, non è mai stata fatta una seria ricerca, anche per mancanza di documenti familiari e non, ma non disperiamo. All'Archivio di Stato di Palermo ci sono i "Rapporti di arrivo e partenza" di tutte le navi che frequentavano allora il nostro porto. Salvo mancanze dovute a danni di guerra, qualcosa si può trovare
La narrazione del viaggio di Ignazio Filiberto (1840)
Erano trascorsi circa 24 anni dacchè la bandiera del nostro regno venia liberata dalle incursioni de' pirati barbareschi, e la marina mercantile di Sicilia prendea un rapido incremento . Pure i più lunghi viaggi non era psi estesi al di là delle coste atlantiche dell'America settentrionale e meridionale; il grande oceano indiano restava per poi inesplorato . Il capitano Vincenzo di Bartolo da Ustica, giovane di anni 37 , educato in Palermo nel nostro collegio nautico , ove innanzi tratto fu alunno, e poscia precettore, è stato il primo per noi a segnar questo nuovo cammino. Da pilota ed indi da capitano, avea egli fatto vari viaggi in Europa, e nelle due Americhe; ed or comandante il brigantino di siciliana costruzione « Elisa » del signor Beniamino Ingham , sciogliea da questo porto il 28 ottobre 1838 carico di generi indigeni alla volta di Boston, con un equipaggio di dodici altri marinai tra palermitani e terminesi. Passava il 10 dicembre...in pdf
Le rotte sono semplicemnte unione tra due punti descritti nel Viaggio di Filiberto, punti che certamente avrá somministrato il proprio Di Bartolo. Non rispecchiano nessuna fedeltà e qualità nautica a causa delle molteplici situazioni che avrà ponderato lo stesso, come le scorrerie dei pirati barbareschi sulle coste del Magreb e quelle africane. Il percorso in miglie è solamente orientativo, poichè non conosciamo i tratti delle innumerabili bordate o abbattute per approffittare con maestria avversi venti, correnti e temporali.
Al percorso totale di andata e ritorno di circa 34.000 miglia lossodromiche, bisognerebbe aggiungere tante altre e altre dovute al bordeggio, ecc. Ma quante? Forse un 30%, cosa realmente incredibile se consideriamo, allora, che abbia percorso un totale di circa 44.000 miglia in quasi un anno di navigazione effettiva, cioè circa 123 miglie percorse in 24 ore, ad una velocità di 5 miglia!
Solcometro a barchetta
Una sintesi del viaggio dal porto di Palermo a Rigah Sumatra, e ritorno a Palermo
Andata
28 ottobre 1839 - Salpa dal porto di Palermo
5 gennaio 1840 - Attraversa lo Stretto di Gibilterra: 3450 miglia in 69 giorni di navigazione lenta e faticosa.
27 gennaio 1840 - Arriva al porto di Boston.
1 marzo 1840 - Parte da Boston.
21 marzo 1840 - Corta il Tropico del Cancro alla longitidine di 29° 50 Ovest
2 aprile 1840 - Passa la linea equatoriale, l'Equatore, alla longitudine 22° Ovest.
15 aprile 1840 - Diretto al Sud, avvista lo scoglio Martim Vaz della Isola della Trnità. Passa il Tropico del Capricorno alla longitudine 25° 30' Ovest.
17 aprile 1840 - Passa 3° a nord della isola di Tristan di Kukna (Tristan da Cunha. Prende rotta verso il Banco delle Aguglie (Capo Agulhas) Capo di Buona Speranza.
8 maggio 1840 - Al traverso del Capo di Buona Speranza alla latitudine di 37° 40' Sud. Si dirige al ESE avvistando le isole Cochons o dei Cocchi (Iles Crozet).
Fine maggio 1840 - Passa alla vista delle isole San Paolo e Armsterdam.
1 giugno 1840 - Passa il Tropico del Capricorno alla longitudine di 88° Est.
21 giugno 1840 - Taglia l'Equatore alla longitidine 92° 20' Est.
1 luglio 1840 - Approda nell'isola di Pulo Rhio.
12 luglio 1840 - Porto di Rigas, provvigioni e carico di pepe.
26 luglio 1840 - Dopo 16 giorni di solitaria dimora, finalmente prende il ritorno.
Trinidade e Martim Vaz: La Isola dei Tesori
All'epoca portoghesi, queste isole fra le coste del Brasile e Africa erano un punto di dirottamente per vari destini. Ma pure scalo di importanti personaggi e favolosi tesori nascosti.
L'astronomo Edmond Halley fu inviato alla isola a prendere la possessione in nome dellea Corona Britannica.
Il navigatore e naturalista inglese James Cook nel 1775.
Il navigatore francese Dumont d'Urdille nel 1826.
James Ross sostò nell'isola, diretto all'Antartica nel 1839.
Anche Robert Scott si fermò nell'isola cammino al Polo Sud nel 1911.
William Kidd. conosciuto come Capitan Kidd, famoso corsaro scozzese. Si dice che nascose un tesoro in qualche parte dell'isola, cercato invano da un tale Knight e da molti altri.
Si dice che il tesoro della cattedrale di Lima, Perú, è stato sotterrato dagli spagnoli quando dovrettero abandonare quel paese che si dichiarava indipendente.
Carta di grandi dimensioni della epoca. Era quella che usò Di Bartolo?
Ritorno
28 luglio 1840 - Ripassa l'Equatore alla longitudine di 93° Est.
30 luglio 1840 - Si trova nel punto 01° 44' Nord e 93° 42' Est con un caldo infernale.
28 agosto 1840 - Passa il Tropico del Capricorno alla longitidine di 63° Est.
17 settembre 1840 - Si trova alla altura della baia di Alagoa (Algoa Bay), segue per il Capo di Buona Speranza con corrente favorevole tanto da percorrere 3° all'Ovet e 1° 30' al Sud in 48 ore (cioé, circa 200 miglia).
25 settembre 1840 - Tempesta al sud di Capo dei Tormenti (Il navigatore portoghese Bartolomeo Diaz nel 1487, che lo chiamò "capo delle tempeste").
27 settembre 1840 - Nel punto 35° di latitudine all'ovest del meridiano del Capo. Quanto all'ovest...?
7 ottobre 1840 - Attaversa il Tropico del Capricorno a 2° di longitudine Est.
11 ottobre 1840 - Ancora nell'isola di Santa Elena, provvisioni. Trova la ultima dimora di Napoleone ridotta a statla o magazzino e l'umile tomba con le sue ceneri.
13 ottobre 1840 - Si mette alla vela.
23/24 ottobre 1840 - taglia l'Equatore alla longitudine di 20° Ovest.
10/11 novembre1840 - passa nuovamente il Tropico del Cancro alla longitudine 34° Ovest.
24 novembre 1840 - Avvista il Picco delle Azores (isola Pico) e in seguito Santa Maria.
5 dicembre 1840 - Entra nello Stretto di Gibilterra.
14 dicembre 1840 - Di sera, arriva al porto di Palermo, dopo un anno, un mese, 16 giorni. Con 32 giorni nel porto di Boston, 16 a Sumatra, con rifornimenti di viveri solamente in Rigas e Santa Elena.