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In Navigazione: racconti di Gaetano e Pasqualino Marchese

L’ACQUASANTA a TAIWAN, 1968, ovvero, quando si faceva sul serio, altro che andare al Lidl a fare la spesa:

prendiamo i fusi di pollo, sono in offerta etc…

Quell’anno, mentre tutta una generazione si trastullava nelle università, un certo Gaetano, invece , lo trascorse a bordo della motonave da carico “Cesare d’Amico”, costruita a Taranto nel 1958.

La Società D’Amico di Navigazione-Roma fin dal dopoguerra aveva acquistato una preminente posizione commerciale per il trasporto delle merci varie , sulla linea del Centro e Nord America, lato Pacifico.

Ebbene, il 27 Giugno 1968, completata la discarica (delle merci europee) a Vancouver, Canada, si sarebbe dovuto iniziare a caricare qualcosa per l’Europa, invece arrivò a sorpresa l’ordine di dirigere per l’isola di San Marcos, Baja California, Messico, per caricare minerale di gesso (gypsum rock) per Taiwan. Una follia, era un ripiego, un nolo giusto per prendere le spese e neanche.

Con l’acqua già razionata (il dissalatore era guasto), in 6 giorni arrivammo all’isola di San Marcos (3 volte e mezza Ustica), spettrale, arida, in pratica un enorme pietrone di gesso in mezzo al mare, niente vegetazione, un piccolo villaggio polveroso che ospitava gli operai addetti all’estrazione e alla caricazione del minerale.

Il capitano fece richiesta per avere 100 tons di acqua potabile, manco a sognarla. Col sistema del tapis-roulant, caricarono la nave in 24 ore, andammo tutti sul pontile a leggere sul contatore il quantitativo imbarcato; 11501 tonnellate metriche, praticamente a pieno carico. Le stive erano caricate “a tappo”, ma il minerale cominciava ad assestarsi, producendo delle voragini spaventose e

allora, tutti a spalare, cercando disperatamente di livellare la superficie del carico. Un m..zo così, lavoro inutile.

Il 4 Luglio 1968 alle ore 16 partimmo dall’isola di San Marcos per Taiwan, inizio di una lunga avventura.

Curiosamente, Cabo San Lucas, punta meridionale della Bassa California e l’isola di Taiwan, in pratica sono sul Tropico del Cancro e quindi il viaggio era sempre con prua 270° o giù di lì. Il capitano cercava talvolta di deviare per beccare qualche piovasco e raccogliere un po’ d’acqua piovana.

Passati a nord delle Hawaii (appena in vista), il 20 luglio 1968, il Marconista (ufficialmente: Ufficiale R.T.), cominciò a ricevere cattive notizie: il super tifone Mary ci sbarrava il cammino, dirigendo dalle Isole Marianne al Giappone. Eravamo a 1000 miglia dal centro del tifone, ma già arrivavano delle grosse ondate che mettevano a dura prova la nave. Il Comandante Pasquale Gandolfo

di Imperia (1925) prese una saggia decisione: accostare di 180° e tornare indietro per quasi 24 ore, in attesa che il tifone si dirigesse più a nord. Trecento miglia avanti a noi, le navi “Madaket”, “Andrew Jackson” e “Oberlin Victory” presero delle legnate da orbi, da come riferiva il marconista, in contatto con i colleghi di quelle navi. Era ancora il tempo del tasto telegrafico Morse “ti-ti-ti-ta-ta-ta..”

Dopo 27 giorni di navigazione, alle 4:30 del 1° Agosto 1968, ancorammo nell’avamporto di Keelung, grosso porto a nord dell’isola di Taiwan. I piloti erano dei disonesti, ammucchiavano le navi senza che queste avessero il giro libero sull’ancora, per cui queste si “toccavano” continuamente, un bu-bum continuo. Il 14 agosto una nave militare cinese, “arando” sull’ancora, ci venne addosso, altro bu-bum. Però, il Commander della nave cinese, all’indomani mandò due saldatori per riparare i danni provocati, modesti.

 

Come quelli del “Bounty” a Tahiti, tutto l’equipaggio si diede alla pazza gioia, tutti in franchigia (a turno, s’intende). Mezzo equipaggio si ammalò di una febbre tropicale, l’altra metà di qualcosa di più prosaico, frequentando locali, diciamo, edonistici. Un massacro. Finite le scorte di antibiotico di bordo, cominciai ad accompagnare i 'peccatori' dal dr. Chang, che aveva lo studio armato in un sottoscala. Molto professionale, metodico, il suo dito guantato per le esplorazioni retrospettiche, non perdonava, i “pellegrini” avevano voglia a sbraitare: “Ahi, ahi, Sior, Siò” e io: “Mbhe?, che c’è?”

Il 17 Agosto, finalmente ormeggiammo ad un pontile per la discarica. Aprendo i pesanti portelloni McGregor delle stive, si presentò uno spettacolo inusitato. Il livello del minerale si era abbassato di due metri, per l’assestamento e rinsaccamento durante il viaggio. Il gesso era tutto un blocco. Un centinaio di cinesi invase la nave armati di pale, picconi e coffe. In pratica il carico doveva essere scavato per riempire le coffe, che con una catena umana, raggiungeva la banchina. Diavoli di cinesi, scavavano quel tanto per fare crollare irte pareti di minerale...

All’ora dei pasti, venivano gli addetti con montagne di riso, salse, carne etc...

 

Noi ufficiali avemmo il tempo di recarci ben 3 volte al ristorante del President Hotel di Taipei, la capitale, grattacieli, luci, una meraviglia.

La sera del 26 Agosto 1968, partimmo da Keelung; uscendo dal porto, il marinaio al timone, fraintendendo un ordine, anziché mettere timone a dritta, lo mise a sinistra, facendo inferocire il capitano: “Ma vaffa.., siete tutti rincog..dopo un mese in porto..?”

Destinazione Vancouver, Canada, per riprendere la Linea: dopo Vancouver, Portland (Oregon), San Francisco, Los Angeles, Guatemala, canale di Panama,

Colombia, Venezuela, Portogallo, Spagna, Italia....

La nave rientrò in Italia, a Savona, il 1° Novembre 1968. I primi a sbarcare furono la moglie e la figlia di 10 anni del capitano, che aveva già perso un mese di scuola.

Ora, restano le offerte dei fusi di pollo al Lidl...

Il biglietto verde del treno Keelung-Taipei (30 km) e il bigliettino di uno dei tanti locali edonistici, intrigante quel: "Attractive girls Good service" !

Il "Cesare d'Amico", una roccia di nave, passa sotto il Golden Gate di San Francisco..

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L'unica foto di tutta l'avventura di Taiwan, scattata con una Kodak Instamatic, dopo 50 anni, colori perfetti. Eravamo in cima al carico di una stiva riempita "a tappo". Si cercava di livellare il carico.Da sinistra: il 3° ufficiale di 'coperta' Gaetano con la pala, un marinaio con la scopa, a centro, folta capigliatura nera, mentre guarda in basso, l'allievo uff.le Pietro Leto di Palermo, poi sposatosi e rimasto in America. Accanto a lui, tracagnotto, il 1° ufficiale Signorello di Mazara del Vallo. Il 1° a destra, un marinaio di Riposto, capo dei peccatori a Taiwan, accanto col cappello chiaro, il nostromo Ciampetti Emidio di Ortona, un negriero, faceva filare la truppa: "Forza guagliò, a faticare..". La foto è del 4 Luglio 1968, ore 13, appena completata la caricazione. Si notano in fondo dei capannoni delle maestranze messicane. Dopo 3 ore saremmo partiti per Taiwan.

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Quando si esagera: la turbo petroliera "David Packard"

Eh sì, ora vogliamo esagerare, perché non capita tutti i giorni di scrivere di una nave mostruosa, come la Turbo Petroliera "DAVID PACKARD", della Chevron Shipping Company, dove sono stato imbarcato nel 1978. Il comandante era il compianto Giuseppe Caldarella (1933-2014), palermitano, poi in pensione passato al Collegio Capitani presso la Stella Maris di Padre Bruno. Con lui la chiacchierata pomeridiana era assicurata da molti spunti comuni, incluso Ustica.

La David Packard prendeva il nome dall'omonimo ingegnere, azionista della Chevron e famoso per la società Hewlett Packard, elettronica ecc.;

Le sue dimensioni erano sconcertanti: 365 metri di lunghezza fuori tutto (LOA) , 70 metri di larghezza (Beam) e 22,90 metri di pescaggio estivo per un DW di 412000 tons metriche.. Era tra le navi più grandi del mondo, ma solo al 18° posto; prima di lei c'erano ben altri mostri come la più grande petroliera mai costruita, la Knock Nevis, poi battezzata Seawise Giant (458 metri X 68 metri, pescaggio 27 metri, DW 563000 tons) e quelle francesi come la Batillus, la Bellamya , DW 553000 tons etc, tutte navi super antieconomiche, passate quasi dallo scalo alla demolizione dopo pochi anni.

Il record insuperato della David Packard risiedeva nella sua larghezza di 70 metri, che nessuna nave ha mai avuto, neanche la Seawise Giant. Anche le gemelle "Chevron North America" e "Chevron South America" avevano ovviamente le stesse caratteristiche.

 

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E allora, in un solo corridoio che ricalcava la larghezza della nave, c'erano tuti gli alloggi ufficiali, tutti italiani, incluso cabina comandante, cabina direttore di macchina e stazione radio ! Spazio da vendere? Non proprio, se i comuni stavano in cabine con due letti a castello. Il ponte di comando era sospeso su due piloni enormi, in uno c'erano le scale, nell'altro c'era l'ascensore che arrivava a pagliolo in macchina. Caso unico. Essendo una turbonave, non c'erano rumori di apparato motore e anche col monsone da SW, esattamente di prua, forza 8, si avvertiva appena un tintinnio a bordo, ta-ta-ta....con condizione a pieno carico, in navigazione da Al Juaymah , Arabia Saudita, verso Capetown e destinazione Golfo del Messico.. . dove ci volevano 8-9 navi più piccole (DW 40-50000 tons) per allibare (trasferire) tutto il carico. L'operazione richiedeva molti giorni e va da sé che non era proprio semplice perché prima bisognava scaricare un tot sulla prima nave, poi questa "ci dava" la sua acqua di zavorra sporca, quindi altro carico a altra ricezione zavorra e così via. Al termine della discarica, la nave ripartiva con quasi 200000 tons di zavorra sporca che in navigazione veniva smaltita legalmente, in un tempo in cui non c'erano tutte le restrizioni odierne.

C'era già un timido impianto di navigazione satellitare, non GPS, che ogni tanto forniva una posizione nave attendibile.

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Equipaggio sudcoreano, gente tranquilla. In particolare il cuoco, Kim Jong Jo, era molto divertente, non sapendo assolutamente nulla di piatti italiani, per ogni cosa consultava il manuale che la stessa Chevron gli aveva fornito. Ne uscivano fuori delle orride pietanze; la sua specialità era "spaghetti tomato sauce", scotti, ricoperti di pezzi di pomodori pelati crudi e aglio, oppure "pesce al forno". ..; al cameriere: " Lee Mong Jo, che si mangia oggi"?...puntualmente: "Fish oven, sir" e cioè un pesce enorme che passava direttamente dalla cella frigo al forno e al piatto, sembrava una mummia resuscitata .E così, quasi ogni giorno, pasta al burro, almeno si andava sul sicuro. Ma non ci si faceva caso. Fuori servizio, in due o tre ufficiali, a torso nudo, si faceva su e giù in coperta, dall'estrema poppa al castello di prua, ripetendo tre volte il percorso si raggiungeva il kilometro, non male, e abbronzatura assicurata. Poi c'era la piscina e qualche moglie al seguito del marito ufficiale. Qui, con l'equipaggio coreano, non c'erano guardoni, ma su tante navi Chevron con marinai italiani…più di una volta ad ore ben calcolate, si presentava il marinaio col baracchino della pittura. "Ma cosa c'è da pitturare, qui è tutto a posto", "Mi ha mandato il nostromo". La verità era di far finta di pitturare sempre verso poppavia per godere la vista allettante delle signore in bikini a bordo della piscina-oasi. Uno rischiò di precipitare in basso.

La sera immancabile proiezione di film nella saletta bar ufficiali, le bobine venivano fornite dalla società Walport al passaggio di CapeTown o qualche altro posto decente.

Dimensioni esagerate, outfitting esagerato. Un'ancora pesava 23 tonnellate e una maglia della catena era lunga 70 cm; , l'elica pesava 37 tons, il timone 80. Il diametro delle linee carico principali era di un metro! E si poteva passare sotto questi collettori in coperta senza sbattere la testa, perché collocate quasi a 1,90m d’altezza.

Le cisterne carico erano profonde 30 metri. Ogni across di cisterne contemplava due cisterne centrali, a cavallo della mezzeria, e due cisterne laterali. La cargo control room era completamente automatizzata.

Il gavone di prua poteva contenere 9000 m3 di acqua di zavorra. Le cisterne del bunker (combustibile) assommavano a 14000 m3.

La nota dolentissima era l'elevato consumo per alimentare le fameliche caldaie, ben 220 tonnellate al giorno alla massima velocità, ma si preferiva andare a velocità economica 13,5 - 14 nodi, col consumo di soli 180 tons al giorno. La gestione di queste navi era un autentico suicidio economico. E finivano tutte come navi storage in Nigeria etc...

La terra, non si vedeva manco col binocolo, ma la Chevron metteva a disposizione delle potentissime motobarche per chi osava farsi una franchigia, tre ore di traversata, ma solo nel Golfo del Messico, al largo di Pascagoula.

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