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Una familia durante la seconda guerra

La storia della nostra famiglia, Marchese/Balistreri, durante la seconda guerra mondiale, potrebbe essere la storia di qualunque famiglia di quel tempo.

Fino ai quaranta anni quasi tutti gli uomini e tante donne erano sotto le armi e mogli e figlioletti abbandonati alla sua sorte sotto le bombe. Eppoi il loro ritorno in patria, a volte sputati e insultati.

Ci confortano durante e poi con la epica della guerra, con l'eroismo, la abnegazione, la patria, il condottiere... Ma niente di più crudo che la realtà! 

La foto ritrae mio nonno Pasqualino Marchese Sr., nel giardino della casa di vicolo Pipitone, N° 18, il 12 febbraio 1940.

Il 15 gennaio c'era stato un forte terremoto e mia madre si era rifugiata, con in braccio il piccolo Pasqualino Jr., in fondo al giardino. Sullo sfondo, si nota la porta della casa che dava sul giardino con una donna seduta che accudisce il piccolo Pasqualino (tre mesi). Porta aperta? Ma non era in pieno inverno? Mha! Oggi si chiamerebbe esoticamente baby-sitter, allora era una popolana del vicolo che in cambio di qualche soldo e della minestra a mezzogiorno, si prestava all'uopo.

Il nonno era una roccia, solo che, avendo fumato per 60 anni, aveva i polmoni "cotti", cosicché, "sfollare" a S. Elia, sopra la Caletta, gli fu fatale, perché l'abitazione in affitto, era una topaia, senza luce, nè acqua e tanto meno bagno. Sorvoliamo sui dettagli dello smaltimento "avanzi notturni" direttamente nelle acque della Caletta. Le esalazioni di una lampada ad acetilene ("citiliena"), oggi si direbbe a carburo!, lo asfissiarono e tolse il disturbo l' 11 dicembre 1941. L'uomo che, il 10 giugno 1940, aveva esclamato : "La guerra con tutti ma non con l'Inghilterra", almeno non vide la totale distruzione della città. Dal 2017,(dopo 143 anni di possesso) , quelle case appartengono a persone dello stesso vicolo.

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Annuncio della dichiarazione di guerra agli Stati Uniti

Benito Mussolini 11 dicembre 1941

Combattenti di terra, di mare e dell’aria.

Camicie nere della rivoluzione e delle legioni.

Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania.

Ascoltate!

E’ questa un’altra giornata di decisioni solenni nella storia d’Italia e di memorabili eventi destinati ad imprimere un nuovo corso nella storia dei continenti.

Le potenze del Patto di acciaio, l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista, sempre più strettamente unite, scendono oggi a lato dell’eroico Giappone contro gli Stati Uniti d’America. Il tripartito diventa un’alleanza militare che schiera attorno alle sue bandiere 250 milioni di uomini risoluti a tutto pur di vincere!

Nè l’Asse, nè il Giappone volevano l’estensione del conflitto. Un uomo, un uomo solo, un autentico e democratico despota, attraverso a una serie infinita di provocazioni, ingannando con una frode suprema le stesse popolazioni del suo paese, ha voluto la guerra e l’ha preparata giorno per giorno con diabolica pertinacia.

I formidabili colpi che sulle immense distese del Pacifico sono già stati inferti alle forze americane mostrano di quale tempra siano i soldati del Sole Levante. Io dico, e voi lo sentite, che è un privilegio combattere con loro. Oggi il tripartito, nella pienezza dei suoi mezzi morali e materiali, è uno strumento poderoso per la guerra e il garante sicuro della vittoria; sarà domani l’artefice e l’organizzatore della giusta pace tra i popoli.

Italiani e italiane, ancora una volta in piedi siate degni di questa grande ora.

Vinceremo!

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L'ACQUASANTA, come oggi, il 10 GIUGNO 1940.

I Venti di Guerra, da tempo paventati, diventano certezza. Il vecchio Pasqualino Marchese (1867-1941), che aveva la tessera del PNF dal 1925 ("ocio", chi non l'aveva, non poteva lavorare), subito esclamò: "La Guerra con tutti ma non con l'Inghilterra" e questo fa capire con quale "entusiasmo" la dichiarazione di guerra fu accolta al Pipitone.

Mio zio omonimo, Gaetano, raccontava che i Marittimi erano particolarmente graditi al Regime, tanto da fare dichiarare al sig. Galeazzo Ciano: " Mi laverò le mani col sangue dei Marittimi", ma io non chiesi mai il motivo di questo feeling verso i naviganti. In una puntata de "L'Acquasanta in Guerra" ho raccontato delle peripezie dei Marchese nell'ultima guerra.

Allora, prendiamo spunto da quanto scrive Anna Vettuccia sul cortile Trapanese e sui cari estinti da..gelsomino. Diciamo subito che dei 320mila soldati morti durante l'ultimo conflitto e dei prigionieri ritornati a casa dopo anni, non fregò niente a nessuno: avevano fatto la guerra..sbagliata.

Il Popolo, allora, pianse per decenni i suoi morti. I quattro fratelli Marchese riportarono le p..la pelle a casa, ma a quale prezzo. Mia nonna materna ci rimise un fratello e soprattutto il figlio primogenito Francesco Balistreri (1914-1942) scomparso col CT "Scirocco", il 23 marzo 1942.

Questa povera donna, nonostante la dichiarazione di morte presunta del 1959, aspettò il ritorno del figlio per almeno 20 anni e diceva sempre: "Quannu veni Cicciu", forse solo a fine anni Sessanta si convinse che Cicciu non sarebbe più tornato.

Quando l'andavo a trovare (via Simone Gulì, 134), l'ingresso di casa era stato trasformato in un piccolo altare a più ripiani, con le foto di Cicciu e del CT Scirocco con una medaglia che raffigurava la stessa nave. Una lampadina sempre accesa, qualche raro fiore. Anche se avevo 10 anni, provavo una tristezza, un'angoscia con quella luce fioca e tutto sempre al buio.

Come mia nonna, piansero in tanti, come la signora Elvira, la "tabacchina",di via Gulì, vedova Dragotto e madre del nostro borgataro Tommaso Dragotto, attuale Presidente della Sicily by Car. Il marito era scomparso per azione di guerra mentre si trovava imbarcato su una nave della Tirrenia. Ognuno pianse i suoi cari, con tanto di immagini al gelsomino, forse il miglior riconoscimento che potessero ricevere. Nella foto, il Legionario (?) della Milmart, Domenico Marchese, mio padre, all'isola Palmaria (La Spezia), il 18 giugno 1941.

E' il primo seduto a terra a sinistra. Il peggio doveva ancora venire. Ormai, siamo rimasti in pochi a ricordare i poveri scomparsi..al gelsomino.

Gaetano Marchese 10 giugno 2019

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L'Acquasanta del come eravamo ("The Way We Were" come la canzone di B. Streisand):


Pasqualino Marchese con la nostra mamma Angela, 25 Gennaio 1943, nel periodo più buio della guerra....non si sapeva manco che fine avesse fatto mio padre in Nord Africa...

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L'ACQUASANTA in Guerra.
Pasqualino Marchese jr. in una foto del 5 maggio 1941(1 anno, 5 mesi, 22 giorni)

Mia madre scriveva sempre la data sul retro delle foto. Pellicola e stampa AGFA. La foto reca un piccolo timbro a secco di cui si capisce solo: Palermo... corso...244...

Non so dire se nel maggio 1941 erano già sfollati a S. Elia, perché le case del vicolo Pipitone avevano subito i primi danni col bombardamento del 7 gennaio 1941.

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Salvatore Palmisano morí a causa di una caduta da uno di questi autobus.

L'ACQUASANTA del come eravamo. Un matrimonio del 1926.


La foto ritrae Cristina PALMISANO (Palermo 1905-Genova 1998) e Stanislao BELLANTE (Palermo 1897 - Genova 1987), il giorno del loro matrimonio, 16 Marzo 1926.

Erano cugini "primi", essendo figli di Rosa e Salvatore Bellante, fratello e sorella. Lei era nata nelle case del vicolo Pipitone, ovvio, lui nel cortile Bellante (che prese il nome dalla sua famiglia), in fondo al vicolo Pipitone.

Il vestito della sposa è fantastico, anni '20, appunto, poi la posa "plastica" con tanto di gamba destra "accavallata", richiama l'audacia di Donna Franca Florio e Boldini, prima versione ! Cristina Palmisano era pure cugina "prima" di mio padre, in quanto, a sua volta, figli di Domenico e Paola Palmisano, fratello e sorella.

 

La vita poi sfascia tutto. Trasferitisi a Genova e durante la guerra ad Ovada (Piemonte), vissero in silenzio la tragedia della figlia Elsa (1930-45), trucidata dai cosiddetti "partig..." che la ritennero una "spia fassista" e la fecero trovare ai genitori, scannata in una lurida grotta..... Una bambina di 14 anni, spia!

Ebbero un'altra figlia, molto bella ed esuberante, aveva gli occhi di colore diverso!! Adesso non c'è più nessuno, né eredi, né memoria alcuna..se non questa foto.

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Sfollati

"VAMPA" a S. ELIA.

Dopo le bombe del 7 Gennaio 1941 ad opera della RAF (Inglesi), cadute anche nel vicolo Pipitone, danneggiando le nostre case, mia madre col piccolo Pasqualino, assieme al nonno Pasqualino Marchese e altro parentame, decise che non era più salutare rimanere nel vicolo.

Si trasferirono quindi a S. Elia, ridente località sul mare, frazione di S. Flavia.

Occuparono una topaia, senza "ritrè" , senza energia elettrica né acqua. In cambio, la topaia era quasi sulla bellissima caletta di via Torre.

 

A guardia delle case di vicolo Pipitone, rimase Salvatore Palmisano (1873-1944), fratello di mia nonna paterna. Giusto "per figura". Un eroe! Tanto, gli "sciacalli" depredarono tutto, anche i ritratti . Rimase di guardia anche sotto i successivi bombardamenti. Una volta ci rimase quasi sepolto dalle macerie, parte del tetto del secondo piano sprofondò fino al piano terra. I vicini lo videro riemergere ricoperto di polvere e calcinacci, come un fantasma.

Per qualche mese, tutta la pattuglia di sfollati, 8-9 persone, campò di risparmi e di tesseramento., poi, di tesseramento e della vendita di tutto l'ottimo corredo di mia nonna paterna; infine, solo di tesseramento.

 

Sono rimasti diversi Libretti Postali dell'epoca. Quello allegato, fu aperto presso l'ufficio postale di S. Elia, il 24 Febbraio 1942 da mio zio Gioacchino Marchese (1901-73), col deposito iniziale di Lire 400, delegando mia madre alla riscossione .

 

Lui era marittimo e poco tempo dopo, il 21 Gennaio 1943, si trovava imbarcato sulla m/n "Città di Genova" della Tirrenia, requisita dalla Regia Marina e diventata incrociatore ausiliario. La nave fu silurata dal sommergibile inglese "Tigris", poco dopo la partenza da Valona (Albania). ..raccontava che gli Inglesi furono gentili, perché tra il primo siluro e il secondo, quello mortale, lasciarono passare ben 12 minuti per permettere all'equipaggio di porsi in salvo. Lui si trincò del cognac e si buttò in mare col salvagente. poi recuperato.

Il 1° Ufficiale, Capitano Solina di Palermo (piazza Gen. Cascino), impazzì, fu visto vagare a vuoto e sparire in mare. Seguirono pochi altri miseri versamenti su quel libretto, infine il 12 Gennaio 1943, mia madre andò a prelevare tutto: 1200 Lire, circa 380 Neuri di oggi, anche se è impossibile capire cosa si potesse fare con quei soldi nel '43. Con quella somma, tutta la "truppa" di sfollati di Pipitone e Simone Gulì N° 134, si trasferì a Villabate, fino al 1944 inoltrato. Bei tempi, Pasqualino si ricorda...

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Il dopoguerra

..sulla famiglia era appena passata la tempesta della guerra, le case danneggiate, la prigionia di mio padre, la miseria nera del dopoguerra, solo nel 1948 mio padre riprese a lavorare sulle navi, dopo aver venduto sigarette americane al Massimo, tra tagliagole e facce patibolari...che lo "'ncuitavanu"..ma, come raccontava, ad un certo momento disse a tutti: "O campamu tutti o nuddu"..e così....

...quando sono nato io in un dicembre del dopoguerra ci pioveva addosso, causa tetti danneggiati etc...poi dal '48 al '50 furono fatti i lavori, a costo di enormi sacrifici, per riparare le case alla meno peggio e io mi ricordo benissimo dei due mastri Don Ciccio e un altro, dei "patatuni" dei "ferri a te (T)" dei "pezzi a littichi"(?) etc

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L'ACQUASANTA, danni di Guerra.
Nel 1948, dopo 8 anni di guerra, prigionia, miseria, mio padre, aveva ripreso a navigare sulla nave "Giosuè Borsi" della Tirrenia (che nel conflitto aveva perso quasi tutte le navi).

Quella nave per noi è stata il simbolo della rinascita della famiglia dopo anni di indicibili sofferenze, "vampa" etc, finalmente si cominciò a vedere qualche soldo; papà, era rientrato dalla prigionia in Algeria, nel marzo 1946.

Mia sorella Paola, che aveva tre anni e mezzo, quando lo vide, gli disse: "Papà", senza averlo mai visto prima, perchè quando era nata, lui era già in ritirata da Tobruk, Libia.

La situazione era tragica, mia madre, per campare con due figli piccoli, Pasqualino e Paola, aveva venduto pure i chiodi dei muri e tutto il ricercato corredo, finemente ricamato, di mia nonna paterna Paola.Il fratello di mio padre, Gioacchino, reduce dal naufragio della nave "Città di Genova" della Tirrenia, gennaio 1943, completamente abulico, "'ncarugnutu".

Dopo due anni di fame a vendere sigarette americane al Massimo, finalmente l'imbarco sulla "Giosuè Borsi".

Col contributo degli altri tre fratelli, papà iniziò i lavori di riparazione delle nostre case del vicolo Pipitone che erano state seriamente danneggiate durante i bombardamenti inglesi e poi 'miricani.

Le bombe non caddero direttamente sulle nostre case, ma nei pressi, su un caseggiato a una ventina di metri di distanza, nello stesso vicolo, che, rimosse le macerie, lasciò un grande vuoto..Da noi crollò parte del tetto della casa al secondo piano, muri e pavimenti dei piani inferiori lesionati e indeboliti.

Quando sono nato io (in un dicembre del dopoguerra, eh..), ci pioveva addosso! I lavori procedettero a singhiozzo fino alla fine del 1950, dato che non c'era la disponibilità di pagare in maniera continua i due mastri, don Ciccio e cumpari Vicienzu (a due anni e mezzo, ma me li ricordo), il materiale etc. Il Comune di Palermo concesse la somma di Lire 115.425 a titolo di contributo per danni di guerra subiti.

Nella foto, la nave mista "Giosuè Borsi", era stata varata nel 1943, allestita nel dopoguerra e consegnata alla Tirrenia nel dicembre 1946. I documenti del Genio Civile di Palermo col contributo danni di guerra, 1950.

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