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Che palermitano non conosce Ustica o non è stato ad Ustica?

La nostra famiglia ha sempre avuto uno stretto legame con antiche famiglie di Ustica: di lí un Marchese formo una famiglia con una usticese, una nipote formó una famiglia con un usticese e recentemente un figlio di un nipote forma una nuova famiglia con una usticese... Piccole storie chiariranno tutti questi nessi fra acquasantini e usticesi.

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Acquasantini di Ustica
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Nel 1759 Re Ferdinando, nell’intento di strappare l’isola ai corsari che osteggiavano i commerci marittimi, emise un bando per il ripopolamento promettendo ai coloni terreno agricolo, esenzione decennale di tasse e difesa militare. La colonizzazione venne avviata nel 1763 con famiglie liparote, 400 coloni a cui si aggiunsero commercianti palermitani e pescatori trapanesi.

I Borbone a difesa dell’isola realizzarono la Torre di Santa Maria sulla cala omonima e la Torre dello Spalmatore, la fortificazione della Rocca della Falconiera, il fortino a mare, tutti muniti di cannoni, e una serie di garitte attorno all’isola.

Fu anche pianificato l’attuale centro abitato e vennero realizzate la Chiesa San Ferdinando Re, affidata ai Cappuccini, e numerosi edifici pubblici. Inviarono anche sull’isola 200 soldati alle dipendenza di un Governatore coadiuvato da sacerdoti per l’assistenza spirituale, da medico, ostetrica e farmacista a garanzia della salute, da ingegneri, agronomi e funzionari per guidare l’avvio e il consolidarsi della nuova comunità.

Nel 1771 Ustica fu riconosciuta Universitas, cioè comune, elesse nuovi organi amministrativi e si dotò di uffici pubblici: segno che il progetto di colonizzazione era compiuto.

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Quando ad Ustica c'era il confino

Una pennellata magistrale di Agostino Caserta

La storia dei confinati comuni ad Ustica

Ustica, come tante altre isole italiane, fu posto di confino per circa 200 anni.

Bisogna essere almeno 60enne per potere ricordare i confinati comuni che furono una parte molto importante della storia moderna della nostra isola fino al 1961.

Le due Torri, Santa Maria e Spalmatore di cui si fa bella mostra ai turisti come monumenti storici furono costruite a fine ’700 con la manodopera di 40 “sterrati” mandati dai Borboni ad Ustica ai lavori forzati per la loro costruzione.

Quelli furono i primi confinati approdati nell’isola che in seguito furono chiamati coatti, quindi confinati, e alla fine soggiornanti (obbligati).

In buona parte erano delinquenti comuni in attesa di giudizio per omicidio, reati contro il patrimonio, truffa, usura, estorsione, ricettazione, borseggio, favoreggiamento alla prostituzione, pedofilia ecc.….

Ma Ustica diede dimora anche a confinati politici avversari delle Autorità Siciliane prima, e dopo dei Governi Italiani; anche ad anarchici, i nemici dei Re, contestatori degli aumenti delle tasse, patrioti del Risorgimento, oppositori di guerre coloniali, deportati Libici, prigionieri di guerra slavi e prigionieri arabi.

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Del Confino Politico non ho ricordi perché accadde prima dei miei tempi. Terminò con la fine della guerra e l’avvento della Repubblica, per chi vuole approfondirne le conoscenze si può suggerire che all’uopo il Centro Studi di Ustica, ha pubblicato moltissimi articoli con ampi dettagli. Ha il Centro Studi pubblicato materiale concernente i confinati comuni? Non penso, per essere sicuri bisogna chiedere.

I confinati comuni ad Ustica vivevano in una specie di carcere all’aperto, però erano autorizzati a circolare solamente entro i “limiti confinati” designati da insegne. Dove oggi c’è l’ex ristorante Pizza la Piazza c’era affissa una di queste insegne, un’altra era nella discesa verso il Borgo che comincia vicino Carpe Diem, e una all’inizio della discesa Via Vittorio Emanuele (a scalunata e’ mari), una nella zona del Calvario, nella Piazzetta attuale Poliambulatorio, nella zona del nuovo Municipio e nella zona Via Pennini; insomma potevano circolare solo nel centro abitato.

Abitavano nei cameroni, tuttora esistenti, che erano sufficienti per circa 50 persone. Ogni sera al tramonto davanti l’edificio della attuale Banca usciva un trombettiere che suonava la “ritirata” per i confinati, i quali venivano relegati ai cameroni accompagnati dai loro aguzzini e chiusi a catenaccio, fino alle 8 del mattino del giorno seguente.

 

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Durante la guerra, al tramonto, in certi periodi, cominciava il coprifuoco e Sesto il trombettiere, che voleva “toscaneggiare”, all’ora della ritirata intimava a tutti ad alta voce, usticesi inclusi, in un italiano maccheronico:” pendete la lucia” !!!”.

Il numero dei confinati ad Ustica era mediamente di 180-250 e ciò richiedeva la presenza di almeno 120 o poco più fra Carabinieri e Poliziotti il cui Quartiere Generale era la “Direzione” di Polizia che veniva gestita da Commissari e ubicata nei locali dell’attuale Agenzia Militello. I confinati, malavitosi, purtroppo, spesso regolavano le loro differenze con atti di violenza.

Diverbi, liti e risse erano molto frequenti. Avvenivano prevalentemente nei cameroni o altrove ma di solito fuori dalla vista degli Usticesi. A volte, per regolare conti, si sfidavano all’arma bianca nella zona del Cimitero o alle Case Vecchie e l’infermeria aveva sempre qualche lavoro extra da fare. Avevano i loro clan, c’erano i sardi, i calabresi, I livornesi, I romani, i veneti (chiamati magnagatti) ecc.., i palermitani erano i più organizzati e temuti un po’ perché “giocavano in casa” ma anche perché i più numerosi. A volte avvenivano risse tra un clan e un altro che non potevano passare inosservate tra la popolazione che era costretta ad assistere direttamente o indirettamente ad atti violenti, a volte di sangue. Quando nell’isola c’era particolare trambusto e via vai di forze dell’ordine si capiva che era successa una “sciarria o’ cammaruni” ... e la violenza fisica non era l’unico problema, c’era gente di tutti i tipi alcuni con malattie mentali Freudiane, epilettici che a volte venivano colpiti da attacchi in pubblico ecc. ecc.

Non è facile dimenticare la scena accaduta, un giorno, in un’ora di punta con i bambini appena usciti dalla scuola: Un confinato, venendo giù da un camerone, armato di coltello, inseguiva un altro, la corsa finisce in piazza, di fronte l’attuale Trattoria Mario (terrazzino), dove l’inseguitore ha il sopravvento e comincia a colpire a terra l’altro con fendenti. Camillo, che si trovava nel Salone Favaloro, vide cosa stava accadendo, uscì istintivamente con la saponata ancora in faccia, prese per il bavero il colpitore e lo scaraventò a metri di distanza forse salvando una vita, ma di sicuro, evitando guai peggiori per entrambi...

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Quando si, vedeva un confinato attraversare la piazza con coperte e cuscini sotto il braccio, accompagnato dalla polizia, significava che era diretto al “fosso”, dove si dormiva sul tavolaccio, per scontare una punizione di rigore conseguente a liti o altro. I confinati passavano le giornate all’ozio, in qualche taverna, o stazionati di solito in piazza nella zona del palchetto passeggiando ininterrottamente a gruppi avanti e indietro, qualsiasi usticese che passava si sentiva osservato e scrutato …

 

Vivere in mezzo a 250 carcerati non era un divertimento: la convivenza non era facile e faceva parte della vita quotidiana a cui gli Usticesi avevano fatto l’abitudine…. Ma…. negli ultimi anni, dal 1958 al 1961 le forze dell’ordine, che per tanti anni avevano usato tattiche da tiranni e autocrati, non riuscivano più a mantenere la disciplina necessaria, era il preludio alla rivoluzione culturale del ’68, i confinati erano ovunque non rispettavano più i limiti, gli usticesi si erano molto innervositi e nell’isola ebbero luogo proteste e piccoli tumulti popolari che contribuirono ad accelerare la scomparsa del confino da Ustica ad opera del Sindaco Anna Favaloro Notarbartolo!

I confinati prevalentemente vivevano in stato di povertà e ricevevano una piccola paga dal Governo che era chiamata ”mazzetta “.

Sentivo dire da anziani che ci furono casi di confinati che morivano di malnutrizione come i senzatetto per strada e non mi riferisco solo ai Libici o Arabi o Slavi ma ai pregiudicati…. Quelli che avevano possibilità economiche affittavano qualche casetta e si facevano raggiungere dai familiari. La famiglia del bandito Salvatore Giuliano fu ad Ustica al confino e io, giocando nel palchetto, ho colpito un nipote di Giuliano, mio coetaneo, alla testa con una pietra procurandogli un bel ” bummuluni “, un parente di Giuliano venne a parlare con mio nonno Fifi' Ailara ma in tono amichevole perché erano vicini di casa e perché mio nonno aveva una delle poche radio ad Ustica e i Giuliano la sera venivano a fare visita per ascoltare il ” Gazzettino di Sicilia ” per notizie sui loro congiunti.

Tutti i confinati che arrivavano ad Ustica o lasciavano l’isola per andare al processo, o per qualsiasi altro motivo, venivano ammanettati con quelle pesanti manette di ferro con catene che strisciavano fino a terra e scortati dalla polizia attraverso il paese fino al porto; quando viaggiavano in gruppi erano tutti concatenati, se uno cadeva in acqua dalla barca si portava dietro tutti gli altri. Scene, queste, molto deprimenti! I pescatori di Ustica ogni volta, prima di uscire con la barca per il loro lavoro, dovevano chiedere formalmente i propri remi ai carabinieri che li tenevano schedati e ben custoditi in una stazione nell’edificio accanto l'attuale Acquario, per evitare che qualche confinato tentasse di “evadere” dall’isola. Altri tempi!!!

Ma …ogni medaglia ha il suo rovescio. I confinati per due secoli in un certo senso furono sostegno dell’economia locale, una economia povera ma stabile. Inoltre i coatti erano manodopera a basso costo per la produzione agricola e per servizi più umili, diventando allo stesso tempo consumatori, insieme alle forze di Polizia, dei prodotti locali. La convivenza forzata con persone di diverse culture e costumi alla fine è stata una esperienza costruttiva. Alcuni di questi confinati erano dei grandi artigiani. Un maestro d’ascia costruì con le sue mani molti mobili di buonissima fattura ancora esistenti.

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Un tavolo e uno sparecchia tavolo è ancora a casa mia con cassetti decorati, scolpiti a mano, e maniglie con teste di leone. Altri erano esperti nelle costruzioni, nella pasticceria e in agricoltura. Un certo Maruska, pederasta, era un rinomato sarto di alta moda, ecc. ecc.…c’era sempre qualche cosa da osservare e imparare…

E con gli usticesi si comportavano benissimo. Quando arrivavano ad Ustica il Comandante Polizia diceva loro: non date fastidio alla gente o vi mando subito in carcere a Palermo. Non ci furono mai incidenti degni di nota. In alcuni casi si creavano anche relazioni e amicizie. Alcuni sposavano ragazze usticesi e si creavano famiglia. Il Tranchina, nel suo libro sulla storia di Ustica, narra che un confinato incontrò a Brooklyn (quartiere di New York), un usticese, lo riconobbe e gli fece una grande festa.

 

Un confinato fu addirittura Sindaco di Ustica, dopo l’armistizio del 1943, per alcune settimane. Mio padre Armando fece il militare a San Remo; uno dei commilitoni era Placidino Pesco, di Palermo, di “professione” borsaiolo sugli autobus. Il Pesco, un tipo allegro e gioviale, in seguito, fu confinato ad Ustica e con mio padre, avendo fatto il militare assieme, erano amici. Un giorno un prominente usticese ritornando da Palermo disse che su un autobus in via Roma era stato “scippato” del suo orologio d’oro da taschino con catena. Pesco scrisse una lettera e dopo due settimane l’orologio ritornò ad Ustica nelle mani del legittimo proprietario addirittura ripulito e lucidato da un orologiaio come se fosse nuovo di zecca.

Agostino Caserta

Anni '60: cominciava il turismo moderno ad Ustica
Ustica RAI

In questo film, auspiciato dalla RAI e realizzato da Andrea Pittiruti, si mostrano le radici del moderno turismo impulsato principalmente da Ercole Gargano. Personalmente mi compiace moltissimo essere stato testimone e parte di una epoca bellissima di Ustica e della mia gioventù.

Pasqualino Marchese

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Andrea Pittiruti è stato al comando della prima troupe di operatori subacquei della RAI, dove ha lavorato molti anni. Dal 1961 frequentò l'isola del Giglio, anno in anno, innamorato del luogo e della sua gente.

È morto a Roma il 15 di aprile del 2019 . Da tempo non ritornava alla sua isola, per osservare il mare dalla sua finestra. Per desiderio proprio, le su cenere sono state sparse davanti al suo mare.

Io lo ricordo...: una sera ascoltandolo, ad un lato del primo padiglione dell'Hotel Grotta Azzurra, con gli occhi neri per la immersione di quel giorno, forse l'ultimo giorno, poichè si aggingeva ad impaccare tutti gli arnesi, specialmente dentro quella cassa nera che si vede sulla prua. della barca. 

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Come si sognava scoprire Ustica

USTICA NEL CUORE DAL 1959

Ho "scoperto" Ustica, sessanta anni or sono. Allora io, giovane neofita di pesca subacquea, leggevo tutto quanto riguardava il mare e un giorno d'estate rimasi affascinato da alcuni articoli apparsi sulla rivista Mondo Sommerso che descrivevano magnificamente i fondali e le prede di questa piccola isola tanto declamata, che allora era chiamata, la "Perla del Mediterraneo". Isola che io non conoscevo ancora.

E così, eccitato dalla prospettiva di scoprire anch'io parte di quelle bellezze, decisi repentinamente, la vigilia di Ferragosto, di verificare personalmente quanto faceva parte dei miei sogni onirici.

Venerdì 14 Agosto preparai tutta l'attrezzatura necessaria, (che però ad Ustica, non riuscii a utilizzare, in modo appropriato), e il giorno dopo mi recai di buon mattino, al molo Santa Lucia nel porto di Palermo, assieme a mia moglie Graziella e c’imbarcammo, armi e bagagli, su una piccola bianca motonave, il "Nuova Ustica", il cui comandante si chiamava Denaro.

Il viaggio fu lungo e snervante, quasi tre ore di sofferta navigazione, a causa del mare lungo e procelloso che creò molti problemi ad alcuni viaggiatori, ma finalmente qualcuno sul ponte disse "eccola eccola" e così all'orizzonte potemmo vedere il profilo dell'isola che sembrava simile ad una tartaruga gigante, galleggiante sul mare azzurro.

A mano a mano che ci avvicinavamo, si cominciavano a distinguere i contorni dell'isola e mi sorprese molto di non scorgere molte abitazioni sulla costa. Poi, avvicinandoci ancora, cominciammo a vedere sulla nostra destra delle linde casette di pescatori, mentre a sinistra si ergeva bianco e maestoso un albergo su una grande e profonda grotta a pelo d'acqua sul mare: era la famosa e bella Grotta Azzurra.

La nave rallentò la sua corsa avvicinandosi a riva e così potemmo ammirare il mare che aveva un bel colore blu cobalto, così intenso, che sembrava irreale in contrasto con quello color verde acquamarina che s’infrangeva sugli scogli della costa incontaminata. E l'acqua era così limpida e trasparente che s’intravedevano a molti metri di profondità gli scogli sottostanti degradanti verso il fondo e una miriade di "castagnole".

Non avevo mai visto l'acqua del mare così limpida e verde, prima di allora e rimasi incantato ad osservarla sino a quando un fortissimo rumore di catene mi fece riprendere dello stupore. La nave aveva gettato l'ancora in rada, davanti alle case dei pescatori arroccate sulla montagna, tutto attorno.

Sulla nostra sinistra scorgemmo una linda caletta piena di barche e barconi a remi vivacemente colorati, i cui marinai ci salutavano festosi: erano i nostri "Caronte". I nostri traghettatori che ci aspettavano sotto bordo per portarci a riva su una piattaforma di cemento realizzata sugli scogli, sotto la Centrale Elettrica.

Ad Ustica, infatti, non c'era né un porto né un molo foraneo cui potersi attraccare e così i barcaioli si davano da fare sotto la scaletta della nave, per prenderci a bordo con i nostri bagagli e traghettarci sulla terra ferma.

Finalmente eravamo arrivati, ma le sorprese non erano finite perché non trovammo sul posto automezzi idonei per portarci lassù, in paese, con i nostri pesanti bagagli.

Dovevamo salire a piedi!

Il giorno dopo ci alzammo di buon'ora perché volevo vivere anch'io l'avvenimento più importante per un sub: Ustica era stata scelta come sede del "Primo Festival Internazionale del Mondo Sommerso" e della "Prima Rassegna Internazionale delle Attività Subacquee" e in seno a questa manifestazione si svolgevano anche delle importanti gare di pesca subacquea cui partecipavano diverse nazioni.

Quel giorno, mi recai al porto anch'io e favorito da un mio amico dell'Ente Provinciale per il Turismo, quel grande uomo che gli usticesi dovrebbero ringraziare a vita: LUCIO MESSINA, salii su una barca assieme ad un subacqueo partecipante alla gara. Avevo avuto l'incarico di assisterlo, durante le sue operazioni di pesca, prendendo dalle sue mani il pesce arpionato, per infilarlo in un ampio anello fatto con fil di ferro cui era stato legato un dischetto di rame numerato, identificativo del concorrente.

Alcuni pescherecci ci agganciarono in fila indiana con altre barche e così ci recammo verso la zona di pesca assegnataci tra Punta Testa del Moro e lo Scoglio del Medico. Io dalla barca, con la mia Mares super, immersa nell'acqua limpida come il cristallo, seguivo trepidante, il mio sub. Ma la fortuna non gli fu amica quel primo giorno e così, al tramonto rientrammo all'imbarcadero, un po’ delusi per le poche prede arpionate.

Altri atleti, invece, rientrando con le loro barchette, orgogliosamente ostentavano il cerchio pieno di prede: saraghi, ombrine, dentici, ricciole e cernie giganti. Uno spettacolo magnifico per noi sub, neofiti del mare ! Uno spettacolo che si ripeteva la sera quando Camillo, un possente simpatico isolano alto quasi due metri, unitamente ad altri pescatori locali, procedeva affacciato ad una lunga balconata sita in piazza, alla pesatura del pescato.

Alla presenza del Sindaco Mirko Caserta, dei sub partecipanti, dei turisti e di tutto il paese, raccolti nella piccola piazza, davanti all'hotel Ariston, Camillo iniziava solennemente il rito magico della pesatura che determinava la graduatoria e quindi il vincitore della gara, alzando di volta in volta, con una sola mano cernie giganti di venti, trenta chili, tra lo stupore meravigliato dei presenti.

Per la cronaca, vinse la gara il palermitano Cecè Paladino con 47 Kg. di prede arpionate.

Giorni dopo ritornammo da Clelia che poté ospitarci, trascorrendo ad Ustica otto giorni di sogno. Mare e sole, sole e mare, che come potete intuire, non abbiamo più dimenticato.

L'anno dopo, la Sicilia fu scelta come sede italiana del "Campionato Mondiale di Pesca Subacquea" che si svolgeva il 22 e 23 Agosto in due sedi diverse: nelle Eolie e ad Ustica, e così ritornammo nell'isola.

Il paese sembrava in festa, pieno com'era di turisti italiani e stranieri, giunti anche con la bianca Motonave "Caralis" -base operativa e logistica degli organizzatori- e che sciamavano nella vicina piazzetta, davanti la Chiesa di San Ferdinando Re.

C'erano in gara 59 sub che rappresentavano 19 nazioni del mondo, tra i quali i nostri Claudio Ripa, Ruggero Jannuzzi, Alessandro Olsckhi ed altri che non ricordo, che vinsero la gara a squadre con 118 Kg di prede, seconda la Spagna e terzi gli Stati Uniti d'America. Il titolo individuale fu vinto da un brasiliano: Bruno Hermanny che da solo pescò 47 Kg. di pesce !

Furono pescati in tutto circa 500 Kg. di pesce !! Altri tempi allora !

La sera poi, a Cala Santa Maria, su un grande schermo montato sugli scogli, Folco Quilici presente ad Ustica, ci fece vedere il suo documentario "Ultimo Paradiso", dopo che il Presidente dell'E.P.T. di Palermo, Prof. G. Agnello di Ramata aveva premiati i "Tridente d'Oro" per le attività subacquee, nella discoteca "Al Faraglione".

Da allora, ogni anno (tranne qualche rara eccezione), torniamo ad Ustica durante la Rassegna delle Attività Subacquee, per vivere assieme agli isolani, quei momenti magici che solo Ustica sa offrire, d'estate. E ci torniamo anche, per gustare alcuni dei suoi piatti tipici fatti di pasta col nero di seppia o con i piccoli gamberetti rossi color corallo: una delicatezza per il palato. Poi dopo la siesta, ci piace stare seduti davanti al bar, in quella strada in pendenza, per gustare il famoso "affogato": una coppetta di gelato di limone corretto con sciroppo di amarene.

Una delizia, che da allora, anche quando non siamo ad Ustica, d'estate, in giro per il mondo ci facciamo preparare dai barman !

E' questo un modo per ricordarci di Ustica e farci sentire "usticesi". E ogni anno cerco e trovo sempre un pretesto per ritornare nell'isola.

Una di queste volte, circa trent'anni fa, ritornai ad Ustica per la festa del Santo Patrono, San Bartolomeo, alla fine dell'estate e fu una giornata indimenticabile, molto particolare!

Già alla partenza, le condizioni del mare non erano proprio favorevoli, e la navigazione si presentò subito un po’ movimentata con l'onda lunga che ci veniva di fronte, spinta dal vento di maestrale.

A mano a mano che ci avvicinavamo al centro del canale, le onde si facevano sempre più alte e più lunghe, e la linea dell'orizzonte spariva attorno a noi quando ci trovavamo sul fondo dell'onda spumeggiane.

Il "vaporetto", come chiamavamo allora il piccolo Nuova Ustica, arrancava lentamente affrontando quel mare in subbuglio e faceva fatica a risalire lentamente l'onda lunga, e quando arrivava in cima, si sentivano strani scricchiolii metallici sotto la chiglia, come se la stessa, messa a cavallo della cresta dell'onda, si stesse spezzando in due da un momento all'altro, mentre a poppa si sentiva il ruggito folle dei motori, provocato dall'elica che uscita dall'acqua, girava a vuoto vorticosamente, nell'aria.

Poi superata la cresta, il vaporetto scivolava velocemente in picchiata sull'acqua, verso il fondo, dove la prua si conficcava in mare sollevando altissimi spruzzi d'acqua fredda che s’infrangevano rumorosamente sul ponte.

Tutto attorno a noi, non si vedeva altro che acqua spumeggiante, alta metri e metri sulle nostre teste, mentre alcuni viaggiatori, con la faccia bianca come la cera si aggrappavano alle murate della nave, sporgendosi fuori, incuranti degli spruzzi che arrivavano sul ponte.

Poi lentamente il Nuova Ustica, sotto la spinta dei suoi motori ansimanti, arrancava nuovamente in salita, scalando quella montagna d'acqua spumeggiante, per ripetere il suo ciclo cento e cento volte ancora, accompagnato dalle preghiere dei miei compagni di viaggio, rivolte ai propri santi protettori: San Bartolomeo o Santa Rosalia, ansiosi di arrivare incolumi, nell'isola.

E così fu finalmente, quella mattina !

Oggi per fortuna i tempi sono cambiati !

Non c'è‚ ancora un buon porto, questo è vero, non ci sono più i simpatici somarelli, ma i mezzi a nostra disposizione per andare ad Ustica, sia da Palermo che da Napoli, sono tanti e anche comodi e veloci e non è più un'avventura arrivarci comodamente e viverci felicemente nelle sue accoglienti pensioni, nei suoi alberghi, e sotto il sole, tra gli scogli del suo mare che, oggi più di allora, fanno della nostra bella e cara isola: la "Perla del Mediterraneo".

Ciao Ustica e arrivederci a presto se questo maledetto Covid ci lascerà in pace, anche per festeggiare l'acquisto di una casetta che le mie figlie hanno comprato a Ustica e la stanno ristrutturando!

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La prima rassegna subacquea nel 1959

Il 17 agosto 1959 fu una data memorabile per Ustica: si inaugurava la Prima Rassegna Internazionale delle Attività Subacquee, che si chiuse il 23 agosto. Atmosfera magica, euforica, per un avvenimento che costituiva concretamente l'inizio del riscatto dell'isola, fino ad allora nota per il confino di detenuti comuni, alcuni "eccellenti", periodo che si concluse il 12 ottobre 1961 con la partenza dell'ultimo confinato, tale Amato, sindaco il comandante Andrea Di Bartolo, capo pilota al porto di Palermo. Per l'occasione, il sindaco Di Bartolo tenne un memorabile discorso dal palco della piazza, a chiusura di un periodo oscuro, il confino politico e comune, durato ben 190 anni.
In quella 1^ Rassegna si videro volti noti di artisti come Silvio Noto e Saro Urzì. Il Presidente dell'EPT di Palermo, barone Giovanni Agnello di Ramata, tenne il discorso inaugurale di apertura della kermesse presso il neonato Hotel Grotta Azzurra, quasi completato. Immagino il sorriso compiaciuto dell'anfitrione, comm. Ercole Gargano, con l'immancabile sigaretta tenuta tra pollice e indice.


Giornale L'ORA, 18 agosto 1959, a firma del giornalista Enzo Perrone, inviato a Ustica.

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